Pio D'Emilia
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Oriente furioso/ Dai samurai alle bande torna di moda il duello

di Pio D'Emilia
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Lunedì 5 Dicembre 2022, 00:11

In Giappone “perdere la pazienza”, una delle più note, tradizionali virtù di questo popolo, può costar caro. La legge prevede pene durissime per qualsiasi forma di violenza, e a fronte di una certa “tolleranza” per altri tipi di reati – consentita dal fatto che in Giappone vige il principio di “discrezionalità” dell’azione penale – polizia e magistrati tendono a reprimere con estremo rigore qualsiasi atto di violenza fisica. 

«Non può non essere così – spiega l’avvocato Yuichi Kaido – la nostra è una società che insegna fin dalla più tenera età a reprimere le emozioni, a sopportare le offese, a non reagire. Ma abbiamo anche una lunga tradizione di arti marziali, e a volte è difficile contenersi». Unica via d’uscita: ubriacarsi. Già, perché il Giappone è uno dei pochi Paesi al mondo che prevede lo stato di ubriachezza come un’attenuante: più si è ubriachi e più la polizia tende a chiudere un occhio. Ovviamente finché si tratti di violenze limitate, non certo un omicidio.
È quello che hanno pensato due “hangure” – termine che indica gli appartenenti al variopinto mondo delle “bande” giovanili più o meno violente – di Osaka, che tempo fa sono state arrestate per aver violato una antica legge, ma tutt’ora in vigore. Quella che vieta i duelli: “ketto zai”, in giapponese, anche se oggi si usa più il termine “taman”. Le due ragazze, una delle quali minorenne, avevano deciso di “regolare i conti” sfidandosi pubblicamente al Cube, un locale nel quartiere di Kita-Shinchi dove ci si può sfidare al “cat fighting”, una sorta di lotta libera praticata nel fango. 

Iniziato come semplice intrattenimento per i clienti – i lottatori erano professionisti pagati per esibirsi – il “cat fighting” è diventato sempre più “popolare” ed il locale ha deciso di aprire il ring anche ai clienti. 
«Avete delle questioni da risolvere? Venite al Cube», recitava una pubblicità del locale. Sembrava una iniziativa tutto sommato divertente, che per molti mesi ha rilanciato l’immagine del locale, sempre esaurito. I combattimenti erano fasulli, spesso decisi in partenza. Ma poi, lo scorso novembre, sono arrivate le “hangure”. E la situazione è completamente cambiata.

Secondo quanto scrivono alcuni tabloid locali, le due ragazze avevano iniziato a darsele per strada, con il rischio che la polizia intervenisse. A qualcuno viene in mente di proporre una tregua e di continuare la resa dei conti al Cube. Detto fatto. Una telefonata al manager del locale per prendere accordi e via di corsa, in taxi separati, verso il ring, per evitare che le ragazze, nel frattempo, si calmassero. E invece arrivano ancora belle cariche, anche perché nel frattempo ci avevano dato sotto con l’alcol, e senza nemmeno spogliarsi, cominciano a darsele di santa ragione prima ancora di entrare nel ring. Secondo il Nikkan Gendai, «non si era mai visto nulla del genere»: le due ragazze hanno mostrato una tale rabbia che dopo pochi minuti erano completamente ricoperte di sangue, oltre che di fango. Una aveva tirato fuori un coltello, e la situazione stava precipitando.
La serata venne interrotta dal management, e le ragazze trasportate in ospedale.

Ma dopo qualche giorno arriva la polizia, che le arresta entrambe, assieme al manager del locale. Poteva restare una notizia di cronaca nera. Se non fosse che nel confermare l’arresto il procuratore abbia citato il “ketto zai”: ovvero il duello. Un reato istituito “solo” nel 1889 – fino ad allora era consentito e diffusamente praticato - che prevede una pena da 3 a 5 anni per i duellanti e fino a due anni per chi in qualche modo partecipa all’organizzazione, in questo caso il manager del locale.

Notizia ghiotta, soprattutto per la stampa popolare, che infatti ci si è buttata subito sopra, risalendo alle presunte origini e alle tradizioni, spesso solo presunte, di una pratica che per secoli ha prosperato nella società giapponese. Una pratica che non era solo appannaggio dei valorosi e integerrimi (non sempre, in realtà) samurai, ma anche di avventurieri e briganti, che per secoli hanno percorso l’arcipelago contendendo ai samurai il primato di violenze e crudeltà. 

Uno di questi, forse il più famoso di tutti, era tale Hirai Gonpachi, un ex samurai che aveva abbandonato il padrone per via di una passione insopprimibile verso una prostituta di Edo, l’antico nome dell’attuale capitale Tokyo. Siamo a metà del XVII secolo, e viaggiare da Osaka a Edo non era cosa semplice, per un “ronin” (samurai senza padrone). Molti si riunivano in bande, che con la scusa di proteggere i villaggi li saccheggiavano, altri cercavano di sopravvivere ricorrendo a furti, rapine, truffe di vario genere.
O duelli. Proprio come i pistoleri del Far West. Gonpachi era uno di questi. Leggenda vuole che nel suo lungo viaggio da Osaka a Edo, per riunirsi alla donna amata, avesse ucciso ben 130 persone, e non solo nel corso di regolari duelli. Anche a sangue freddo, dopo averli derubati. Un reato, quello del furto, da sempre considerato uno dei più gravi e disonorevoli nella società giapponese. 

E fu proprio a seguito di uno dei suoi più crudeli assassinii, quello nei confronti di un mercante cui aveva prima sottratto l’incasso, che Gonpachi venne arrestato, processato e, come si usava allora, sottoposto alla “haritsuke”: crocifisso e colpito da lance acuminate. Nel frattempo la sua amata, appresa la notizia, si suicidò ed entrambi riposano in una sorta di cimitero speciale per gli amanti, lo “hiyokuzuka”, che si trova in pieno centro di Tokyo, nel quartiere di Meguro.

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