Mario Ajello
​Mario Ajello

I più anziani nella Ue​ / La festa dei papà che in Italia arrivano dopo

di ​Mario Ajello
5 Minuti di Lettura
Martedì 19 Marzo 2024, 00:34

Siamo i papà più vecchi d’Europa. Guai a vantarsene, ovviamente, ma guai a farne una tragedia. La foto di questa condizione sociale arriva proprio in coincidenza della Festa del papà, che come ogni anno cade il 19 marzo, e i dati della Sia (Società italiana di andrologia) raccontano questo: diventare genitore per la prima volta è un’esperienza che gli uomini del nostro Paese spostano sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia negli altri Paesi europei Ue. Noi siamo papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2, in Inghilterra e Galles a 33,7 anni. Ciò significa che un uomo su 3 è ancora senza figli oltre i 36 anni d’età. Ed è in crescita anche il numero di quelli che, non sentendosi anziani o lo sono ma non lo sanno e guai a ricordarglielo, generano e procreano come giovinetti e magari più felicemente dei ventenni. Non è raro che capiti di sentire, quando si va in un asilo nido o in una scuola elementare: «Ma quel tizio che è venuto a prendere quel bambino è il padre o è il nonno?». Le due figure, nell’Italia dell’invecchiamento di tutto, anche della soglia paterna della procreazione, tendono - ma senza esagerare per fortuna - a sovrapporsi e a confondersi in maniera evidente. 
E fa impressione che in Italia l’età in cui si fa il primo figlio sia aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni ‘90 ai circa 36 attuali. Questo significa, e non è un bene affatto, che le condizioni economiche e di stabilità adatte a fare un figlio non si verificano quando sarebbe il tempo più naturale per farlo. E vuol dire anche i tempi di raggiungimento di quella maturità e coscienza che sono necessarie per mettere al mondo delle creature, e per credere di poterle crescere nelle condizioni ambientali e familiari giuste, arrivano per molti uomini piuttosto in ritardo. Del resto, quanti di noi ci pensiamo adolescenti - e assurdamente lo siamo - fino a 40 anni e anche dopo? E ancora, questa anomalia italiana dell’uomo che fa figli tardi denuncia l’esistenza di un sistema che non va dal punto di vista del lavoro e della certezza lavorativa. E ci segnala un po’ come dei bamboccioni che ritardano il più possibile l’impatto con la realtà della trasmissione generazionale e con il volersi prendere cura, incarnandola in una discendenza, della nostra proiezione sul futuro. 
Ma guai a demonizzare il - chiamiamolo così, scherzosamente - primipero attempato. Semmai prendiamo atto che la situazione è questa, che la società è cambiata e che non per forza si devono fare i figli all’età in cui li facevano i nostri padri. Attardarsi comporta problemi personali e complessivi. E non è conveniente per il welfare, già a rischio di saltare a causa dell’invecchiamento generale e progressivo registrato da tutte le stime possibili e immaginabili (un solo lavoratore e mezzo deve sostenere un pensionato, secondo l’ultimo rapporto Intesa Sanpaolo), avere una quantità di padri ritardatari che dopo poco andranno sostenuti dal punto di vista previdenziale. Però, attenzione: il padre senior, e magari pensionato, può fungere da baby sitter e fa risparmiare sugli asili nido. Piccola consolazione (e scarso risparmio) in verità. Ma prendiamola per buona. 
L’over 36 che procrea senza mai averlo fatto prima va analizzato con un duplice sguardo. Essendo “anziano” è tendenzialmente più paziente, meno preso da se stesso (però le lagne corporali da reumatismi e altro aumentano con il passare del tempo e non è facile stare chinati sulla mini-bici del bimbo per insegnargli faticosamente a trovare l’equilibrio), ha più tempo da dedicare alla creatura, non deve ancora trovare la sua strada perché già l’ha trovata (o ha ormai deciso di non trovarla mai) e presumibilmente (ma non vale sempre) dovrebbe essere più riflessivo. Però il senior father, rispetto al junior dad almeno quando questo non è pigrissimo, pantofolaio e abituato a scaricare tutto sulla partner, è di norma meno performante, ha meno energie da spendere e ciò lo rende meno disponibile per il bimbo o bimba e meno collaborativo e partecipativo. Una tendenza alla quale supplisce però - e questo vale per i senior e per gli junior - l’aumento dei congedi parentali per i papà, altro dato ormai assodato, che concede loro più tempo da dedicare alla cura della prole. 
E insomma, padri anziani di tutto il mondo unitevi? No, perché rischiamo noi italiani di unirci solo con noi stessi o al massimo con i greci che stanno messi come noi. Questo ritardo maschile nel fare i figli va messo in relazione a un altra tendenza. Che è questa: la crescita della popolazione italiana è entrata dal 2014 in una fase di forte declino, con un saldo negativo non più compensato nemmeno dall’immigrazione. E se si fanno figli tardi, se ne fanno pochi. E’ difficile che un uomo che fa figli sulla soglia dei quaranta o anche oltre i cinquanta ne faccia più di uno. E dunque non si contrasta lo spopolamento, non si consegnano nuove energie e risorse alla patria. Ci si richiude e ci rinsecchisce dal punto di vista competitivo rispetto alle altre nazioni. 
Però, e qui torniamo ai fattori non per forza negativi dell’anzianità del genitore uomo, non è affatto detto - come si sente spesso ripetere - che un padre anziano non può avere quella leggerezza che un padre giovane invece ha. Questo dipende dai caratteri delle persone e non certo dall’anagrafe. Si può essere barbosi e indolenti, e incapaci di proiettare se stessi e i propri figli nel domani, a qualsiasi età. E comunque qualche deficit di fisicità del senior può essere compensata da una sua maggiore capacità di capire e di accettare l’esistenza di un figlio e da un bagaglio di esperienze da trasmettere più ricco (ma anche questo non vale per tutti e per forza) a paragone di un giovane padre. E’ ovvio: si ragiona per generalizzazioni, ma anche queste ogni tanto qualcosa possono dire. Stavolta dicono che un paesaggio italiano popolato di carrozzine e passeggini spinti da signori di un certa età (che non sono nonni o bisnonni ma genitori) come colpo d’occhio, più che nella sostanza, non è entusiasmante. Dà l’idea di un Paese attardato e un po’ ripiegato. Però, e qui servono le politiche sul lavoro, la sensibilizzazione sociale, le strategie per le famiglie, la riorganizzazione delle strutture di assistenza ed educative, esiste la possibilità o almeno la speranza che questo ciclo del primipero attempato s’inverta. E che il figlio del genitore anziano diventi, in un domani auspicabilmente molto prossimo, un genitore giovane.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA