Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

La lezione europea/Una ricetta per il futuro dei nostri ragazzi

di Paolo Balduzzi
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Martedì 14 Novembre 2023, 00:30 - Ultimo aggiornamento: 21:34

Non brilla di originalità il “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, noto quotidiano tedesco, quando descrive i giovani italiani come eterni “mammoni”, in quanto ritardano eccessivamente l’uscita di casa una volta raggiunta l’età adulta. E non brilla nemmeno di tempismo, visto che l’articolo, finito in prima pagina alcuni giorni fa, segue di poche settimane una ricerca di Eurostat che ridisegna alcuni stereotipi. Effettivamente i giovani italiani escono più tardi dalla casa genitoriale rispetto alla media europea, cioè a trent’anni esatti.

Ma più tardi ancora degli italiani escono i giovani croati (a 33,4 anni), seguiti da quelli slovacchi (30,8 anni), greci (30,7 anni), spagnoli e bulgari (30,3 anni), e, infine, maltesi (30,1). Possiamo dire che quindi il Faz abbia preso un granchio? Certo che no. E, anzi, va ringraziato, perché (ri)porta all’attenzione pubblica un fenomeno che deve interessare tanto la società quanto la politica. Peraltro, lo fa anche in maniera ragionata, cioè riconoscendo che gli stipendi in Italia sono troppo bassi e che di lavoro ce n’è meno che altrove. Resta la curiosità di sapere perché, proprio in questo momento, una notizia del genere possa finire in prima pagina (succedono così poche cose interessanti in Germania?). Tuttavia, ironia a parte, la questione deve essere affrontata e non può essere relegata a semplice provocazione. 

Innanzitutto, si può ragionare sulle cause. Le possibili spiegazioni sono molteplici. Innanzitutto, ci sono quelle culturali: anche quando escono da casa, infatti, i giovani italiani tendono a vivere molto vicino ai genitori, addirittura nello stesso comune. Poi anche strutturali: in Italia c’è una buona università quasi in ogni provincia e questo permette a molti studenti, diversamente da ciò che accade all’estero, di poter restare a casa dei genitori, risparmiando diversi euro. Infine, ma non certo per importanza, ci sono le ragioni economiche: i giovani italiani non sono in grado di mantenersi da soli.

C’è un’altra classifica europea dove questa volta davvero primeggiamo ed è quella degli under 29 che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in programmi di formazione (i Neet): una condizione che riguarda il 17,7% dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni (primo posto in Europa) e il 20,5% delle ragazze (secondo posto dietro alla Romania).

Per queste persone, lo Stato brancola nel buio. Non da oggi ma da sempre. I giovani che arrivano da famiglie benestanti, in Italia come all’estero, possono uscire di casa e farsi mantenere dalla famiglia di origine, sia che essi stiano studiando sia che abbiano appena cominciato a lavorare. Ma gli altri? Nei paesi scandinavi, non a caso quelli dove i giovani escono di casa prima, intorno ai 22 anni, è addirittura lo Stato che ci pensa. Per esempio, in Danimarca i giovani che decidono di studiare hanno diritto a un sussidio che supera gli 800 euro mensili. Purtroppo, in Italia il problema riguarda anche coloro che non sono Neet e che hanno già cominciato a lavorare. Lo stipendio medio di un giovane tra i 18 e i 24 anni in Italia è di 15.900 euro mentre Germania è di 23.900 euro. Un confronto impietoso. Questa situazione spiega non uno ma addirittura due fenomeni che, paradossalmente, sembrano opposti. Il primo è quello che ha colpito i giornalisti tedeschi: i giovani italiani faticano a uscire di casa. Il secondo è invece quello dell’emigrazione.

Altro che mammoni: i giovani italiani, quando escono di casa, lo fanno in grande stile. Non solo abbandonano il tetto casalingo ma addirittura l’intero territorio nazionale. Secondo l’Istat, nel decennio 2012-2021, sono espatriati circa 337.000 giovani tra i 25 e i 34 anni; tra questi, oltre 120.000 erano laureati. Tenendo conto dei rientri, nello stesso periodo, sono comunque quasi 80.000 i giovani laureati perduti. Lo Stato italiano spende ogni anno circa 320 miliardi di euro in pensioni: un terzo della spesa totale. Eppure, le statistiche ci raccontano che la povertà e le difficoltà stanno altrove. È venuto il momento di riconoscerlo. Non certo per togliere motivi di divertimento ai nostri cugini tedeschi, quanto per dare un futuro e soprattutto un presente dignitoso ai nostri ragazzi.

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