Paolo Balduzzi
​Paolo Balduzzi

Conti in affanno / Il deficit alto e il taglio (necessario) degli sprechi​

di ​Paolo Balduzzi
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 24 Gennaio 2024, 00:13

L’Italia, si sa, è sempre un osservato speciale. Un’affermazione che si presta a diverse interpretazioni. Per esempio, può significare che il nostro è un Paese amato e invidiato da molti stranieri, che appena possono arrivano a visitare le nostre bellezze artistiche e naturali. Oppure, che si tratta di uno Stato caratterizzato da una politica fiscale non sempre rigorosa e con una tendenza a indebitarsi eccessivamente. 
Appartengono proprio a questa seconda categoria le osservazioni che, periodicamente, dedicano a noi tanto le istituzioni politiche europee addette al rispetto delle regole fiscali quanto quelle di altri organismi tecnici internazionali, come l’Ocse. 
È inutile illudersi: un politico, quando è al governo, considera sempre fastidiosi questo tipo di interventi. Da un lato, perché non si vuole certo dare l’impressione ai propri cittadini che le politiche economiche vengano disegnate e suggerite da oscuri e lontani burocrati stranieri; dall’altro lato, perché il più delle volte i giudizi non sono certo lusinghieri.
E poco conta il fatto che, soprattutto quando di parla di debito pubblico, le responsabilità non possano essere certo attribuite nello specifico e in maniera esclusiva alla classe dirigente attuale. Al contrario, per i politici all’opposizione, le critiche internazionali diventano sempre un’occasione per attaccare la maggioranza in carica, spesso e volentieri indipendentemente dai contenuti di tali critiche.
Il recente rapporto dell’Ocse sull’Italia, già presentato ieri su questo giornale, non aggiunge nulla di nuovo a quanto non si sapesse già: il nostro è un Paese a debito pubblico elevato, con una spesa per pensioni a rischio di insostenibilità, una tassazione particolarmente squilibrata sui redditi da lavoro e una propensione all’evasione fiscale ancora sopra la media.
Fin qui, i dati. E, su questi, non ci possono essere irritazione o stupore che tengano. Per chi governa, anzi, sentirsi ripetere le stesse cifre è un bene, perché bisogna sempre mantenere coscienza delle difficoltà da affrontare; per chi fa opposizione, al contrario, fa bene ricordarsi che, almeno parzialmente, questa situazione è anche responsabilità di chi ha governato prima. 
Sul come questi elementi di debolezza possano venire affrontati, invece, si entra nel campo della discrezione. Ogni finalità è compatibile con diverse ricette. Se, per esempio, si volesse aggredire la questione previdenziale alla radice, allora non si dovrebbe fare altro che rendere il più veloce possibile la transizione al metodo di calcolo contributivo, introducendolo anche come opzione fissa per tutti gli anticipi pensionistici. 
In questo modo si potrebbe parzialmente liberalizzare l’età di pensionamento, esattamente come prevedeva la riforma Dini. Altro che, come suggerisce l’Ocse, eliminare gli anticipi previdenziali, a prescindere dal loro funzionamento, o irrigidirsi su questioni quantitativamente poco rilevanti, come il taglio dei trattamenti di reversibilità. 
Incontestabile invece il richiamo per la riduzione dell’evasione fiscale. Interessante, e varrebbe la pena che se ne parlasse di più, valutare l’opportunità di regimi sostitutivi troppo diffusi e generosi, che mettono ogni anno in discussione il principio costituzionale per cui contribuenti con medesima capacità contributiva debbano essere trattati alla stessa maniera. 
È necessario, infine, ragionare in prospettiva di medio periodo. L’intenzione del legislatore, confermata dalla legge delega in materia fiscale, dai decreti attuativi finora approvati e dall’attuale legge di bilancio, è quella di ridurre aliquote e scaglioni dell’Irpef. Per ora, giustamente, a beneficiarne sono stati solo i redditi medio-bassi. Serve però un intervento per dare sollievo anche ai redditi da lavoro dipendente medio-alti (tra i 35.000 e i 100.000 euro, per intenderci), che oggi costituiscono circa il 12% dei contribuenti ma da soli concorrono a oltre il 40% del gettito totale dell’imposta. 
Da qualche parte, le risorse per questa diminuzione vanno trovate. L’Ocse ritiene che si possano aumentare le imposte patrimoniali. Un’alternativa, non potendo (e dovendo) utilizzare la leva di ulteriore deficit, potrebbe essere l’intervento sulla spesa.
La liberazione di risorse passa soprattutto attraverso il taglio degli sprechi: per una nazione che spende circa 1000 miliardi di euro l’anno, una cifra che vale circa la metà dell’intero prodotto interno lordo, non dovrebbe essere così difficile farlo. Forse qualche risorsa in più verso la revisione della spesa e altre riforme strutturali (anche queste in agenda da tempo) avrebbe effetti migliori e maggiori sulla crescita e il benessere collettivo di qualunque nuova imposta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA