Pio d'Emilia
Pio d'Emilia

Oriente furioso/ Acque contaminate e scelte impopolari

di Pio d'Emilia
4 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Aprile 2021, 00:02

Il governo giapponese pare abbia finalmente deciso. A dieci anni dall’incidente nucleare – per certi versi ancora in corso visto che il decomissionamento dei reattori è ancora lontano – e sia pure con tempi e modalità ancora tutte da stabilire, oltre un milione di tonnellate di acqua più o meno radioattiva finirà in mare. Con buona, anzi pessima pace dei pesci, dei pescatori, del biota marino e di Paesi come la Corea e la Cina che – magari esagerando un po’ visto che le correnti tendono verso il largo dell’Oceano, quindi più verso gli Usa che la penisola coreana – non perderanno occasione per protestare contro questa decisione “arrogante e irresponsabile”, come l’ha già definita il portavoce del governo sudcoreano.

Ma è davvero così? Al di là delle giuste preoccupazioni e del legittimo dibattito – spesso più emotivo che scientifico – siamo davvero in presenza di un atto sconsiderato, criminale, quanto meno dal punto di vista ambientale, o siamo piuttosto di fronte ad un scelta oramai inevitabile, e che più che costituire un problema ne può rappresentare la soluzione? In altre parole: quanto danno, quanto pericolo reale può provocare? E soprattutto, esistono possibili alternative?

Chi mi conosce sa con quanta attenzione e personale coinvolgimento abbia seguito, all’epoca, la tragedia dello tsunami e dell’incidente nucleare: sono sempre stato e continuo ad essere contrario all’utilizzazione dell’energia nucleare, almeno sino a quando non ne sarà garantita l’assoluta sicurezza. Ma non so fino a che punto sia utile alla causa sostenere battaglie ideologiche, giungendo al punto di negare la realtà o dipingerla in tinte più fosche di quanto già lo sia. Non sono uno scienziato, né un tecnico, né un giornalista specializzato. Ma in questi anni ho seguito molto da vicino la questione, incontrando molti “addetti ai lavori” e ascoltando le loro opinioni. E mi sembra di dover condividere quella che sostiene che a questo punto l’idea di scaricare l’acqua, dopo averla abbondantemente diluita, nel mare sia non solo una possibile soluzione, ma probabilmente anche l’unica. Al momento, all’interno della centrale ci sono circa un milione di tonnellate d’acqua, in parte filtrata, contenuti in un migliaio di contenitori tutt’altro che sicuri (il mese scorso, durante l’ultimo terremoto, un’ottantina sono stati danneggiati, liberando acqua nel suolo): la capacità di stoccaggio, secondo i tecnici della Tepco, si esaurirebbe entro aprile 2022 (anche se non tutti sono d’accordo, in realtà ci sarebbero altri spazi da utilizzare ma per qualche motivo non se ne parla).

Sempre secondo la Tepco quest’acqua, contiene solo minime percentuali di trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno che si trova anche in natura e la cui “pericolosità”, presunta perché non ci sono stati casi certificati, è circoscritta a dosi massicce. Nelle percentuali di cui parliamo, non costituirebbe alcun rischio né per l’uomo né per il biota marino, pesci compresi. 

Su questo è d’accordo anche Ken Buessseler, noto biochimico marino del Woods Hole Oceanographics Institution (Whoi), uno dei più autorevoli istituti di ricerca oceanografica: «Il trizio, la cui emivita è tra l’altro molto breve, circa dodici anni, è come una forma d’acqua e quindi scivola via spostandosi con le correnti – ha spiegato Buesseler in una intervista a Lifegate – il problema sono gli altri isotopi, come lo iodio 129, il litio, ma soprattutto lo stronzio 90 che sia pure in percentuali ignote sono sicuramente presenti e possono sedimentarsi sul fondo». Ma anche considerando tutti gli altri radionuclidi, non dovremmo preoccuparci: «Tutti i mari, oceani compresi, contengono enormi quantità di materiale radioattivo – avverte Marco Casolino, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare da molti anni distaccato presso il Riken di Tokyo, uno dei più prestigiosi centri di ricerca del Giappone – dal carbonio al potassio 40. Per non parlare dei numerosi reattori nucleari di altrettanti sommergibili affondati che non hanno causato alcun aumento delle radiazioni». 

Meglio sversare queste maledette acque, con le opportune cautele (si parla di oltre due anni), nell’oceano dunque, piuttosto che conservarle sul terreno, in bidoni tutt’altro che sicuri, a rischio che un nuovo terremoto ne provochi la fuoriuscita e l’infiltrazione nelle falde acquifere. Anche perché si rischia di perdere di vista il vero problema, il vero dramma di Fukushima e della sua gente. «Tutto questo allarme per la questione dello sversamento, del tutto ingiustificato, toglie credibilità al movimento antinucleare e distoglie l’attenzione dalla tragedia della nostra gente, quei pochi tornati, ma che non possono più coltivare la loro terra, e i molti che invece hanno deciso di non tornare – dice Katsunobu Sakurai, sindaco di Minamisoma, uno dei comuni più colpiti dalla tripla tragedia del marzo 2011 (terremoto, tsunani, incidente nucleare) – E’ questa la vera tragedia. Le ferite, indelebili, che questo incidente ha provocato nell’anima della nostra gente, più che nei corpi».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA