Mario Ajello
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Tendenza Schlein/ Il nuovo volto Pd e la ripartenza dal locale trendy

di Mario Ajello
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Lunedì 5 Dicembre 2022, 00:11

Il Pd era nato 15 anni fa (ottobre 2007) per coagulare i diversi riformismi e invece, tra propaganda e prosopopea e mentre ora si balla tra lo spettro della scissione e quello della dissoluzione, è finito per coagulare soltanto correnti. La scalata alla segreteria di Elly Schlein, la candidata anti-correnti che serve gattopardescamente a salvare le correnti più di sinistra e non solo quelle, sembra essere il suggello di una storia che prometteva di più. E che ha avuto nella sua aspirazione originaria, di tipo prodiano, una carica innovativa presto schiacciata da un notabilato e da un ceto politico concentrato in maniera quasi esclusiva sul potere per il potere. Anche in questo fallimento storico, ossia nel distacco del partito guida della sinistra rispetto alla connessione con la realtà preferendo l’auto-referenzialità e l’auto-conservazione, sta la ragione sociale della vittoria della destra che ora governa.

Il correntismo onnivoro prova in questa fase a riciclare se stesso e l’icona Schlein, l’iper-pacifista, la paladina delle lotte lgbt, tutta diritti e poco doveri e tantomeno meriti e bisogni che sono quelli su cui cresce una comunità di cittadini dando forza (e non retorica) a un Paese, rischia di somigliare a un maquillage politicamente corretto. Sotto cui si nasconde il solito tran tran di un partito di dirigenti e di ex leader stanchi e conflittuali, calati in una sorta di metaverso sempre più inconcepibile e indecifrabile per le persone comuni e per gli elettori che vogliono fatti e riforme. E che se ne infischiano delle dinamiche interne di partito, dei contrasti, delle alchimie e degli amalgami (il Pd è un «amalgama mal riuscito», D’Alema dixit all’esordio, e il compianto Macaluso titolò «Al capolinea» un libro sul partito appena nato).

Se il sistema italiano ha bisogno di una sinistra, non parrebbe la sinistra modaiola alla Schlein (gli sfidanti sembrano più attrezzati se non altro perché, a parte la De Micheli, Bonaccini e Ricci sono amministratori locali di lunga esperienza) la più rispondente alle istanze della modernità. Che sono quelle della crescita, di un approccio pragmatico e non fanatico ai problemi dell’economia, dell’energia (ambientalismo di facciata? Vade retro!), delle diseguaglianze (meritocrazia? Avanti tutta!) e non quelle di un minoritarismo da salotto o di una presunta superiorità politico-intellettuale, e perfino antropologica, che non ha riscontri reali ed elettorali.
Fu il filosofo cattolico Augusto Del Noce a prevedere, nel ‘78, che la sinistra italiana sarebbe diventata più che altro «un partito radicale di massa», borghese (oggi si direbbe Ztl) e distante dalle istanze dal basso.

La vittoria congressuale di Schlein andrebbe a inverare questa profezia. Ma quanto «di massa» potrà essere un Pd di questo tipo? Il pericolo dell’involuzione dem sta nella rinuncia a quella che in origine era la cosiddetta vocazione maggioritaria. Si esaurì in fretta. Facendo del Pd non il partito che sulla spinta della maggioranza degli italiani vinceva le elezioni (gli è largamente riuscito solo nel voto europeo del 2014 grazie a Renzi, che pure è stato odiato e ripudiato anche perché non corrispondente ai canoni di quel che resta dell’ortodossia di sinistra) ma il partito stabilmente o quasi al governo in virtù di accordi di Palazzo e di una consuetudine di potere rivelatasi l’ubi consistam programmatico.

Il Pd che potrebbe consegnarsi alla Schlein è quello che dalla vocazione maggioritaria è arrivato al punto di finire fagocitato sul versante moderato dal Terzo Polo e dall’altra parte da M5S. Il principio novecentesco e logoro del “nessun nemico a sinistra” si traduce infatti nella tentata rinuncia al riformismo (e occhio ai passi indietro anche sull’atlantismo che pure è stato un posizionamento giusto della leadership di Letta), per inseguire Conte sulla via del pacifismo da parata, del populismo andante (i dem non erano contrari al reddito di cittadinanza ma stanno per andare in piazza a difenderlo?) e di un revival rossogiallo oltretutto rifiutato dal leader stellato almeno per il momento.

Un sussulto di serietà è ciò che servirebbe. Ma una promessa di leadership che parte da una discoteca trendy e alternativa al Portonaccio - in un apparente clima post studentesco da pace, amore e fantasia sull’orlo di un baratro - non sembra aver smarrito, oltre al valore della dignità della politica che è anche un fatto di luoghi e di simboli, qualcosa di ancora più profondo? Ossia l’ispirazione e la lingua che servono a parlare pure fuori dalla propria nicchia e a svolgere un vero ruolo nazionale e non di mera testimonianza.

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