Giuseppe Vegas
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La nuova legge/ Chi pagherà i danni provocati dal clima

di Giuseppe Vegas
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Domenica 10 Marzo 2024, 00:00

Si lavora nei ministeri per varare il decreto attuativo della innovativa disposizione dell’ultima legge di bilancio, che rende obbligatoria per le imprese private l’assicurazione dei rischi catastrofali: alluvioni, terremoti, frane. Si tratta di un tema annoso, almeno quanto l’avvicendarsi delle periodiche disgrazie che si abbattono sul nostro territorio, lasciandoci in ricordo il loro pesante carico di vittime, sofferenze umane e danni materiali. Solo nello scorso anno si calcola che le catastrofi naturali abbiano provocato perdite a livello globale per circa 250 miliardi di dollari. Mentre gli eventi meteorologici estremi sono stati responsabili di danni per 35 miliardi solo in Italia nell’ultimo decennio. La copertura assicurativa privata ha fatto fronte mediamente solo al sei per cento delle perdite. Per il resto, i rimborsi, quando sono stati effettuati, li ha pagati Pantalone.

Forse il problema potrebbe assumere dimensioni più ridotte se si tenesse presente quanto già Margaret Thatcher aveva premonitoriamente ricordato nel 1988: “Nessuna generazione ha la proprietà assoluta della terra. Tutto ciò che possediamo è un contratto di affitto vitalizio con l’obbligo del risarcimento di tutti i danni”. La statista inglese, che non amava la spesa pubblica, guardava alla necessità di impegnarsi nella prevenzione dei rischi ambientali. 

Ciò significa che per prima cosa occorre definire, e soprattutto applicare, regole inderogabili in materia ambientale e per la costruzione di manufatti nelle zone a rischio. Vi è poi la questione di chi debba farsi carico del relativo onere. A ben vedere, sotto un profilo strettamente economico, l’intervento con denari pubblici per risarcire danni subiti dai privati sarebbe giustificabile o in base ad un approccio solidaristico o solo nei casi in cui si possa riscontrare una precisa responsabilità della pubblica amministrazione, ad esempio nella concessione di permessi edilizi o licenze.
Un meccanismo assicurativo, invece, consentirebbe di cogliere contemporaneamente due obbiettivi: quello di contenere la spesa pubblica e quello di responsabilizzare i privati detentori di beni distrutti o danneggiati dalle calamità. Tuttavia, quando si tratta di definire i rapporti tra assicurazioni private ed interesse pubblico, come sempre, il diavolo è nei dettagli.

Si possono scegliere diverse strade: lasciare liberi i privati di assicurarsi o obbligarli. E, in quest’ultimo caso, intervenire o meno con un sistema pubblico di riassicurazione. Il tema non è nuovo. Già all’inizio del secolo scorso si assistette ad una polemica, che, nel contrasto tra Nitti ed Einaudi, consentì a quest’ultimo di fissare i paletti della questione delle assicurazioni sulla vita. Paletti ancora oggi validi. Infatti, consentendo la massima libertà di mercato, si può creare una situazione di concorrenza tra le imprese assicurative, con la conseguente liberalizzazione dei premi, fatto positivo, ma anche con il rischio della formazione di un cartello monopolistico, che farebbe alzare ingiustificatamente gli oneri a carico degli assicurati.
Tuttavia, dato che lo Stato è interessato alla diffusione di un meccanismo assicurativo al prezzo più basso per i fruitori, è opportuno che esso intervenga attraverso un sistema pubblico di riassicurazione, consentendo così la moderazione dei costi. Un secolo fa questo tipo di meccanismo era stato individuato al fine di tutelare le famiglie. Oggi può mirare invece alla salvaguardia del sistema imprenditoriale. Come si può notare, si tratta di un tema ancora attualissimo, ad un secolo di distanza.
In questo quadro, sarebbe utile comprendere fin d’ora quali siano le reali intenzioni dell’attuale scelta governativa, dato che la nuova normativa comprende contemporaneamente l’obbligatorietà per le imprese dell’assicurazione catastrofale e la riassicurazione, nei limiti del 50 per cento, della Sace, cioè di un organismo posseduto dallo Stato.

Occorre dunque domandarsi se la scelta in questione preluda alla creazione di un nuovo soggetto assicurativo pubblico, non molto dissimile dell’Ina di un tempo, al quale affidare l’intera gestione di questa tipologia di rischio, ovvero lasciare campo libero ai privati. In entrambi i casi non mancano inconvenienti.
Infatti, nel caso in cui il meccanismo di assicurazione pubblica funzionasse brillantemente, come d’altronde accadeva ai tempi dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, non è difficile pensare che gelosi interventi dell’Unione Europea ne ostacolerebbero l’intervento l’azione. Ove invece il sistema presentasse delle falle, l’onere comunque continuerebbe a restare a carico delle casse pubbliche.
Se invece si facesse leva esclusivamente sul mercato privato, ne deriverebbe un’importante crescita del settore assicurativo nel nostro paese.

L’espansione del mercato richiamerebbe poi le imprese estere, con la duplice e contrapposta opzione o di rendere il mercato più competitivo, ovvero di creare un’occasione per la nascita di un cartello e un successivo mercato monopolistico.

In questo scenario, sarebbe dunque oggi indispensabile individuare e gestire nei tempi più stretti possibili la linea di sviluppo della riforma, solo tratteggiata nella legge di bilancio. La chiarezza delle scelte e la via per la loro realizzazione potrebbe offrire all’industria assicurativa nazionale, fiancheggiata e sostenuta dal settore pubblico, un’occasione di crescita irripetibile. Nel caso in cui i decreti attuativi delineassero un contesto ambiguo e macchinoso, o tardassero nel definire compiutamente gli obiettivi finali perseguiti, l’effetto non potrebbe essere altro che quello di far ricomparire l’elefante nella cristalleria. Che, nel nostro caso, non assumerebbe altra immagine se non quella della spesa pubblica.

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