Paolo Pombeni
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Interessi collettivi/Il premier che fa “quello che c’è da fare”

di Paolo Pombeni
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Giovedì 6 Gennaio 2022, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 21:56

Draghi ha fatto Draghi: ha tenuto conto di essersi sobbarcato il difficile compito di guidare il paese nella lotta contro la pandemia in modo che la gente sentisse la presenza di chi faceva “whatever it takes”, tutto quello di cui c’è bisogno. Aveva davanti a sé la scelta fra il seguire quel che gli chiedeva il cosiddetto quadro politico o quel che gli chiedeva il sentimento profondo di un paese squassato da una esperienza difficile e in cerca di chiare scelte di reazione.


Da tanti punti di vista quel che è successo nella giornata di ieri è un punto di svolta. Innanzitutto il premier (la qualifica è costituzionalmente scorretta, ma in questo caso rappresenta bene la realtà attuale) ha mostrato cosa intendeva quando nella conferenza di fine anno si è definito un uomo al servizio delle istituzioni: vuol dire mettere la loro tenuta sopra qualsiasi calcolo di interesse per la propria posizione futura. 

Se davvero avesse avuto in mente questo secondo orizzonte, come si sono affrettati a rimproverargli i critici malevoli, si sarebbe dato da fare per accontentare il più possibile il confuso magma di forze che sostengono oggi il suo governo e che domani dovrebbero eventualmente promuoverlo al Quirinale. Questo non significa ovviamente che Draghi non abbia tenuto conto che un risultato impegnativo non si ottiene ribaltando un tavolo e che dunque qualche mediazione si può fare senza stravolgere l’impianto degli interventi.


L’opinione pubblica è nella grande maggioranza con la decisione di smetterla col gioco del cerino per scegliere invece chiaramente da che parte stare. Qualcuno noterà che quasi contemporaneamente un altro leader politico come il francese Macron ha deciso di schierarsi duramente con la maggioranza che vuole la lotta dura per domare il virus, senza indulgenza verso quelle minoranze che cercano sempre “altro” per narcisismo intellettuale, per adesione alle varie mitologie pseudo-naturiste e antiscientifiche, per volontà di alternativismo (individualista) a tutti i costi.


Sarebbe sbagliato dipingere quanto è avvenuto come un episodio di spocchioso decisionismo in disprezzo della politica che poi è stato ridimensionato dalla resistenza dei partiti. Al contrario si tratta di decisioni altamente politiche, perché tengono conto della necessità di tutelare la tenuta del paese, che vuole una normalità compatibile con la difficile congiuntura, una difesa di quella insperata ripresa economica che si è registrata, il mantenimento di un posizionamento internazionale che consente una tenuta al nostro livello di debito pubblico nonostante il pericolo di una inflazione che sta rialzando la testa (si presti qualche attenzione anche all’andamento ultimo dello spread).

Per raggiungere questo obiettivo è necessario non tirare la corda fino al punto di spezzarla.


E’ un modo di fare con cui un “tecnico” esautora la “politica”? Chi lo afferma ha un’idea davvero modesta se non fuorviante di cosa sia la politica. I partiti sono in questo momento in una certa confusione, alcuni di più, altri di meno, ma non al punto di non rendersi conto di due cose: 1) in un passaggio difficile non si può indulgere in messaggi ambigui che poi vengono pasticciati dalla grande fiera dei talk show e dei social; 2) in queste circostanze non c’è spazio per far saltare gli equilibri raggiunti, perché chi volesse provocare una crisi di governo ne risponderebbe di fronte ad un elettorato che non ne vuole sapere.


Poi nessuno è così ingenuo da non tenere conto che non si sta tagliando la testa a nessun toro, perché siamo alle prese con una realtà complessa e multiforme. I problemi col trasporto pubblico, con l’aerazione dei locali scolastici, con l’adesione generalizzata alle norme di prevenzione, con la somministrazione di milioni di vaccini in tempi relativamente ristretti, giusto per citarne qualcuno, non spariranno per le decisioni prese ieri. Spingeranno però il sistema-paese a farsene carico, a cominciare da quelle istituzioni, locali, regionali, centrali, che non sempre sono modelli di efficienza e consapevolezza.


Adesso è da sperare che i partiti, i quali pur con qualche tensione hanno supportato le scelte in cabina di regia prima e poi nel confronto Stato-Regioni e nel Consiglio dei ministri, non continuino con la tentazione della doppia verità, cioè dallo scivolare nel delegittimare con la solita orgia di dichiarazioni, tweet, interviste e quant’altro quanto si è varato a livello di governo.

E fa parte di questo vezzo anche l’abitudine di ciascuno ad intestarsi quel che pare meglio per il proprio consenso elettorale e ad imputare alla cattiveria degli altri, a cui per responsabilità si è dovuto cedere, quel che può urtare la sensibilità o gli interessi particolari (se non egoistici) di qualche settore limitato.
Il momento difficile, ma al tempo stesso ricco di opportunità (avvio del Pnrr, ripresa economica in settori importanti, ritrovato posizionamento favorevole a livello internazionale), non va sprecato con l’avvitarsi dei partiti sulla prospettiva del loro futuro elettorale, che temiamo non pochi vedano da anticipare nella prova per l’elezione del successore di Sergio Mattarella. Sarebbe un pessimo modo di sostenere lo sforzo del governo di dare un messaggio di presenza e di direzione nell’attuale congiuntura, considerando soprattutto che essa non sarà di breve periodo.

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