Angelo De Mattia
Angelo De Mattia

Se il voto europeo può saldare l'unione tra Stati

di Angelo De Mattia
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Giovedì 14 Marzo 2024, 00:04

Come spesso accade anche per la Direttiva Ue sulle cosiddette case green approvata all’Europarlamento, gli obiettivi e l’approdo finale sono condivisibili e possono ritenersi cogenti, ma sono la transizione, le singole tappe e le specifiche modalità nonché la sottovalutazione del principio di sussidiarietà che creano divisioni e impediscono a volte le necessarie convergenze. 
Se, come sembra, nel G7 dei Capi di Stato e di Governo si affronterà anche la tematica delle regole globali alla luce delle violazioni del diritto internazionale alle quali abbiamo assistito e stiamo assistendo, un ruolo coeso e autorevole dell’Europa sarebbe, invece, fondamentale. Le due guerre in Ucraina e a Gaza, l’attacco degli Houthi nel Mar Rosso, la non del tutto superata crisi economica, i problemi degli oneri della sicurezza e della difesa nell’ambito dell’Alleanza atlantica, gli ostacoli al multilateralismo, le oscillazioni degli Usa, le incertezze e la confusione nella legislazione e nell’azione delle diverse autorità e dei diversi organi comunitari effettivamente segnano una definitiva conclusione della “belle epoque” europea degli iniziali anni duemila, come ha scritto Antonio Patuelli? E’, oggi, un’Unione diventata adulta che ha maggiore consapevolezza dei problemi che sono immanenti e delle difficoltà che si frappongono al raggiungimento degli obiettivi? 

Se così non è, da ciò, tuttavia, non siamo lontanissimi. Ovviamente, manca la tensione verso la costruzione di una vera Unione riscontrabile in una condizioni di speranza e di ottimismo in “statu nascenti”. Importanti prove sono pur state superate, ma altre - si pensi, appunto, all’impegno su di un debito comune, ai tentennamenti sul modo in cui affrontare la crisi energetica, alle difficoltà dell’allargamento, benché di notevole complessità, ad altri Paesi, alle questioni cruciali delle transizioni ecologica e digitale - hanno costituito e costituiscono scogli difficili da superare o aggirare. Siamo lontani dallo straordinario impulso dei Padri fondatori e la stessa fiducia che può discendere da un famoso concetto di Jean Monnet, secondo il quale il progresso dell’unione si realizza attraverso le crisi e il loro superamento, appare purtroppo meno fondata del passato. Eppure, non si può cadere nella disillusione. Intanto, si va verso la preparazione delle elezioni europee senza che, per ora, a tutti i livelli della politica e delle formazioni partitiche, si sia avviato un discorso, si sia cominciato a proporre pur differenti visioni del futuro dell’Europa. Nei diversi Paesi, la scadenza elettorale è vista principalmente se non esclusivamente come misurazione del consenso nazionale sulle iniziative e su temi in prevalenza nazionali anche essi. Per certi aspetti, ciò potrebbe essere inevitabile, ma, per essere accettabile, dovrebbe quanto meno stare in un rapporto proporzionale equilibrato con temi europei che vanno da una riforma istituzionale dell’Unione - la quale, se fosse seriamente intrapreso, rappresenterebbe comunque un impegno di particolare rilevanza per il nuovo quinquennio - alle scelte politiche nei settori sopra citati. Essenziale è che l’Unione sia “sentita” propria dai cittadini sulle cui gambe possa avanzare, che si affermi un realistico “sogno”. E a tal fine occorre che l’Europarlamento abbia poteri simili a quelli dei parlamenti dei Paesi fondatori, che sia previsto un “Governo” espressione dello stesso Europarlamento, agendo su di una soluzione che implichi il superamento di come oggi sono Commissione e Consiglio o, quanto meno, introducendo l’elezione dei membri del Consiglio da parte del Parlamento tra i propri componenti. “Vaste programme”? Forse, ma la questione istituzionale resta cruciale e ipotesi quale quella del Ministro europeo delle Finanze, presentata come una panacea, che superi la zoppia tra moneta e politica monetaria uniche, da un lato, e politiche economiche divise per Stati, dall’altro, è un’illusione se non si agisce su rappresentatività e rappresentanza e non si afferma una solida legittimazione democratica. Far parte di un contesto globale con attori come gli Usa e la Cina, per non citare altri Paesi di pari importanza, esige che ci si attrezzi come Unione. Il fatto è che, non essendo stati capaci finora di collegare - o non avendo voluto farlo - all’avanzamento dell’integrazione anche la valorizzazione del principio di sussidiarietà, in base al quale ciò che può essere fatto a livello inferiore, quello degli Stati, non va accentrato, l’unione progressiva è stata vista come mera cessione di sovranità. Invece, si dovrebbe dimostrare, proprio con le soluzioni istituzionali adeguate, che non si tratta di cessione ma di partecipazione alla gestione di una più ampia sovranità, quella appunto comunitaria. Tuttavia ciò richiede concretezza, non rassicurazioni puramente teoriche. Poi vi è tutta la parte che riguarda il governo dell’economia: dalla governance - e qui il Patto di stabilità pur riformato resta ancora inadeguato - alla regolamentazione del settore bancario, all’incompleta Unione bancaria varata quattordici anni fa, alla solo declamata Unione del mercato dei capitali, al ruolo della Bce il cui ordinamento andrebbe rivisto per collocare sullo stesso piano della tutela della stabilità dei prezzi il sostegno all’economia e all’occupazione. Naturalmente, il disegno istituzionale e normativo deve poggiare su di un sentire comunitario che costituisce la linfa delle istituzioni. La scadenza elettorale, anche per il previsto ulteriore allargamento, non deve essere sciupata. A maggior ragione da chi è stato o è critico del funzionamento dell’Unione. Intanto, momenti come quello delle decisioni sulla Direttiva delle case green che ora passa all’esame del Consiglio, devono agevolare il processo di integrazione, non rappresentare fattori di divisione. 

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