P aolo Pombeni
P​aolo Pombeni

Il voto in Europa/ Quello che i partiti non dicono ai cittadini

di P​aolo Pombeni
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Sabato 16 Marzo 2024, 00:03

È opinione condivisa da quasi tutti gli osservatori che la stagione che si apre per la Ue con le elezioni di giugno dovrà affrontare scelte di notevole complessità. Ci sembra facile rilevare che di questo c’è scarsissima presenza nella campagna elettorale dei partiti italiani (ma non è che nel resto d’Europa sia molto differente).
Si dirà che la politica internazionale solo raramente è un argomento che trascina le passioni politiche, a meno che non si riesca a darle colorazioni populistiche e utopistiche come per esempio in buona parte sta avvenendo per la guerra fra Israele e Hamas o come è per certo pacifismo sulla guerra di resistenza dell’Ucraina. Certamente non sono mobilitazioni di questo tipo che dobbiamo augurarci, perché non sono in grado di dare apporti politicamente costruttivi.

Eppure l’Unione Europea dovrà misurarsi con molte crisi, alcune già evidenti, altre in gestazione, e quel che si deciderà nonché le conseguenti modalità di intervento avranno ricadute significative sulla vita dei paesi membri: sarebbe più che opportuno che le forze politiche chiedendo il consenso ai cittadini per mandare propri rappresentanti al parlamento europeo li informassero su questi temi delicati (che per di più coinvolgono anche l’azione dei nostri governi). Partiamo pure dal problema del confronto con le guerre in corso. In parallelo si pongono i temi del sostegno e del contributo da dare in contesti più che complessi e quelli di far fronte alla domanda di creazione di un sistema di difesa europeo di cui ci sarà bisogno specialmente se una vittoria di Trump alle presidenziali americane portasse ad un ridimensionamento della Nato. Come è facile capire, siamo nel pieno della questione relativa alla sovranità dei vari stati, perché il lato militare ne è una componente essenziale. Con la crescita delle pulsioni isolazioniste un po’ in tutti i paesi europei si tratta di un argomento più che scottante.

Non si possono sottovalutare i costi economici della politica di intervento nelle crisi e di promozione di un sistema di difesa comune. È vero che se si somma quanto spendono in questo settore gli stati della Ue si arriva ad una cifra che è maggiore del bilancio militare della Russia, ma è altrettanto vero che i risultati di una spesa frammentata sono piuttosto modesti, senza contare il problema della competizione interna fra le industrie di armamenti dei singoli paesi. Eppure una Ue che non abbia capacità di presenza anche militare ha una relativa capacità di incidere.

Del resto i problemi di coordinamento delle grandi scelte politiche non si riducono a quelli relativi ai conflitti armati presenti o possibili. Temi già affrontati in parte, quali l’approvvigionamento in materia di fonti energetiche in modo che ciò non diventi strumento per condizionare anche pesantemente lo sviluppo e la capacità di azione della UE, o la promozione di politiche ambientali che presuppongono un sostanzioso cambiamento dei nostri modi di organizzazione della vita pubblica, presuppongono anch’essi investimenti e coordinamenti che non possono ridursi a qualche progettazione pensata più per rispondere alle passioni ideologiche che non per trovare realizzazioni sostenibili.

Un fronte di interventi sui delicati ambiti che abbiamo ricordato (ma altri se ne potrebbero elencare) suppone la costruzione di una sintonia positiva in sede comunitaria, il che significa sia a livello del parlamento europeo sia a livello del Consiglio Europeo, con il raccordo di una Commissione in grado di reggere il timone nel periglioso viaggio che ci attende.

Ebbene le condizioni per avere questa sintonia politica non sono scontate. Tanto per cominciare il tradizionale motore franco-tedesco che ha sin qui, pur con alti e bassi, aiutato a tenere la rotta è in crisi. Le ambizioni europeiste di Macron sono sfidate dall’orientamento del tutto contrario della Le Pen e del suo partito. In Germania la “coalizione semaforo” di Scholz è a sua volta in difficoltà sia per tensioni interne, sia per la concorrenza che alla maggioranza in carica fa il partito di estrema destra “Alternative für Deutschland”, sia per la svolta conservatrice della CDU (al momento ancora non stabilizzata, ma sembra in via di esserlo).
Potrebbe sembrare che si parli di questioni di cosiddetta alta politica che interessa poco alla gente, ma non è affatto così. La promozione di un sistema di difesa comune, l’intervento nei drammatici conflitti in Ucraina e Medioriente, anche se di tipo non immediatamente militare (ma, come si vede nel Mar Rosso, poi i confini sono di necessità labili), il cosiddetto “derisking” nell’ambito dell’approvvigionamento energetico, i sostegni necessari per le nuove politiche di tutela ambientale, sono tutti ambiti che richiedono investimenti e spesa. Se non si vuole ridurre tutto ad una questione da lasciare in capo ai singoli stati (ognuno si arrangi, e la UE si è salvata l’anima predicando la necessità di quelle politiche), diventa necessario trovare i fondi comunitari da impegnare e questo significa sia incrementare un po’ i contributi degli stati membri, sia rifornirsi sul mercato dei capitali facendo debito comune.

Sono misure che richiedono interventi sui bilanci dei singoli stati e dunque sulla organizzazione della loro spesa pubblica: un settore sulla cui delicatezza non occorre spendere parole. Se dunque si vorranno evitare sia le retoriche dell’antieuropeismo che si oppone a tutto con la miopia del non tocchiamo niente, sia le scelte impositive del dobbiamo adeguarci perché non possiamo perdere altri vantaggi che ci dà l’appartenenza alla UE, sarà bene che le forze politiche si confrontino con gli elettori sulle prospettive che l’Europa ha davanti e sulle scelte che si dovranno fare. Probabilmente si scoprirà che le spaccature attraversano vari “campi” della nostra politica, ma anche che su temi tanto decisivi quanto delicati potrebbe essere possibile trovare linee di intesa trasversali. Ci eviteremmo tensioni poco salubri, ma al tempo stesso potremmo incrementare il nostro peso e il nostro credito nell’Europa del prossimo quinquennio.

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