Mario Ajello
Mario Ajello

L'analisi / Il partito che non c’è e il suo leader virtuale

di Mario Ajello
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 20 Luglio 2022, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 01:40

Non proprio, o non ancora, il Partito di Draghi. Ma un Partito per Draghi. È quello che in queste ore cruciali si è venuto formando e che oggi potrebbe essere decisivo nel convincere il premier a restare al suo posto e a ripartire con una rinnovata consapevolezza della propria forza, che è soprattutto fuori dal Palazzo. 
Non si è mai visto infatti nella storia repubblicana il fenomeno di un premier senza partito che si ritrova al centro - senza averne suscitato la nascita, senza aver mai detto di volerne essere titolare e anzi facendo spesso intendere di non augurare a se stesso un futuro politico - di una spinta di opinione e di una base di consenso civile larghissimo e trasversale che gli chiedono di proseguire la sua opera perché il Paese ne ha bisogno. 
Questa sorta di Partito per Draghi è auto-prodotto, spontaneo, capillare e interclassista. Emerge dal tessuto dell’Italia reale e dei ceti produttivi - si veda l’appello per la stabilità e continuità apparso sul Sole 24 ore e firmato da quasi trecento imprenditori e manager, nomi del calibro di Emma Marcegaglia e Alberto Bombassei, Diana Bracco e Alfredo Altavilla e Dompé, Ferragamo e tanti altri compresi economisti e grandi italiani come Romano Prodi - che mostra di avere a cuore le sorti della nazione, bisognosa di competenza e di credibilità e non di baruffe e di propagande, assai più di quanto ce l’abbiano certi tinelli di partito o di ex partito da cui si pretende un sussulto di responsabilità. 
E che dire degli appelli, e delle petizioni degli oltre 2000 sindaci di ogni colore politico, degli ordini professionali, delle categorie e delle associazioni, di certi sindacati (la Cisl), dei presidi, dei rettori, della Confindustria, della Cei, dell’Italia dall’ “alto” e di quella dal “basso”, di infiniti pezzi di un Paese maturo che non ne può più di vivere nella precarietà politica e non intende sprecare la carta Draghi? 
Questo pressing (il solo testo diffuso da Renzi veleggia verso le 150mila firme) fa pendant con le piazze anti-crisi di Roma, Milano, Firenze e con il senso comune, sia istituzionale sia popolare, sia imprenditoriale sia sociale in senso lato, indisponibile a ritrovarsi in un Paese spaesato e in preda alla paralisi. 
Una fetta maggioritaria di cittadini - l’ultimo sondaggio della Ghisleri dice che in questi giorni della crisi la fiducia in Draghi è cresciuta di 4,5 punti: dal 47,8 al 52,3 per cento - chiede al premier di restare perché la sua dipartita da Palazzo Chigi provocherebbe uno choc sui mercati con le ovvie ricadute sulla vita materiale di noi tutti; ci lascerebbe senza nocchiero in una fese di tempesta sia economica sia geo-politica; sarebbe un colpo durissimo alla credibilità della nostra politica e all’immagine del nostro Paese. Non che Draghi sia insostituibile e debba esistere solo lui - ma figuriamoci, restiamo un popolo laico! - ma in questa fase e con un lavoro sul Pnrr e sul resto già impostato tutto dovrebbe portare al proseguimento della legislatura e non a interromperla traumaticamente, e a disprezzo degli interessi collettivi. 
Inseguito dalle pressioni di ogni tipo e provenienza, comprese quelle del mondo che conta (le cancellerie, gli Usa e la Ue, la finanza internazionale, i grandi media globali), Draghi recederà dalla decisione del non volerne sapere più? Lo vedremo tra poche ore, anche se nessuno può restare insensibile a un’ondata di sostegno che nasce da un generale bisogno di presentabilità, di sicurezza, di sviluppo e di semplice (ma forse è il valore supremo) amor patrio. Se poi questo Partito per Draghi diventerà alle prossime elezioni o subito dopo il Partito di Draghi - ovvero un largo schieramento candiderà lui a succedere a se stesso e c’è già chi lo dice espressamente come Calenda: «Noi vogliamo Mario premier nel 2023» - la prospettiva, anche in assenza di un sì preventivo dell’interessato, potrebbe pure esistere.
A patto che questo rassemblement sia il luogo di coagulo di tanti pezzi del sistema politico che, in nome di una mescolanza virtuosa, di un riformismo post-novecentesco e sganciato dalle vecchie appartenenze ideologiche, assumono e implementano l’Agenda Draghi e la facciano diventare - sia quelli che vengono dalla sinistra, sia quelli stanchi di un forzismo troppo filo-leghista, sia quelli che nel Carroccio tra governatori e tendenza Giorgetti prediligono la concretezza rispetto ai comizi - la carta fondativa di un modo nuovo di fare politica. Capace di andare oltre ogni schema, a parte quello del produrre fatti a beneficio della competitività del sistema Italia. 
Se invece il Partito di Draghi viene concepito come un’operazione politicista, come una nuova “cosa” di sinistra per un Pd senza più la sponda M5S e che comunque deve fare massa per lottare contro la Meloni, allora il primo a volerne stare alla larga - ammesso che di altro voglia invece saperne - sarebbe proprio Draghi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA