Paolo Pombeni
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Consiglio Europeo/ La burocrazia e il preavviso anche per le emergenze

di Paolo Pombeni
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Venerdì 17 Dicembre 2021, 00:05

Mario Draghi è stato a Bruxelles per confrontarsi con due Europe: quella della “struttura burocratica” dell’Unione e quella del condominio dei capi di stato. La sintonia fra le due, al di là di un poco di retorica di facciata, è più che modesta. L’una vorrebbe inventarsi un mondo che non c’è in nome di un’ideologia tutta sua, l’altra congelare una situazione che funziona male fingendo che questo sia il coordinamento delle varie politiche nazionali.
Ciò che è successo di recente è abbastanza emblematico della lunga battaglia che cercano di condurre certe burocrazie comunitarie e quanto sta accadendo in questo ennesimo summit dei capi di stato lo è altrettanto per fotografare le contraddizioni di un certo modo di intendere la “confederazione”. In mezzo l’Italia, che ha questa volta un premier con una caratura tale da potersi permettere non le inutili sceneggiate dei pugni battuti su tavoli immaginari, ma le parole pesanti che vengono da chi ha alle spalle la guida di successo in una istituzione comunitaria chiave nell’affrontare una crisi molto pesante.
Ha una storia lunga la faccenda dei burocrati di Bruxelles che non avendo poteri politici di un certo rilievo si sfogano a dettare norme su un “dover essere” nutrito di un ideologismo europeistico da casta di mandarini chiusi nei loro uffici. 

Qualcuno ricorderà le battute di anni ormai lontani su quei funzionari che volevano dare misure standard comunitarie a tutto, si diceva con sarcasmo persino alla lunghezza delle zucchine (ovviamente non era in questo caso vero). Ci è tornato in mente quando abbiamo letto della circolare che ci spiegava come si dovevano fare gli auguri per le feste di Natale, o peggio quel documento che stabiliva come si dovessero adeguare le case entro una certa data alle norme della eco-edilizia, dimenticandosi di un continente dove le case sono frutto della sedimentazione di epoche storiche molto lunghe, che hanno anche prodotto cose di pregio, per cui non è che si può abbattere tutto perché adesso così prescrive una nuova astratta ideologia alla moda.
Poi arrivano le notazioni, davvero da burocrati, che in un mondo in cui gli stati membri fanno spesso più o meno quel che vogliono in barba alle dichiarazioni ufficiali si irritano perché l’Italia di fronte alle minacce del progredire di una pandemia che è riuscita sin qui a contenere (a debellare non ce l’ha fatta nessuno) ha preso decisioni di emergenza senza dare 48 ore di preavviso.
L’emergenza con adeguato preavviso era una fattispecie, non sappiamo se logica o giuridica, che ci mancava: ai pochi maestrini con la penna rossa che volevano rimbrottare l’Italia, non si sono accodati i Paesi di peso e neppure gli altri.

Alla fine, giusto per non sconfessare del tutto gli improvvidi burocrati, si è prodotta una nota nel solito contorto burocratese comunitario che ciascuno può leggere come gli aggrada (ammesso che si riesca a decifrarla).


Draghi ha giustamente liquidato con poche parole, e anche col silenzio, queste impennate da zeloti fuori della storia. Preoccupa assai di più la difficoltà dell’Unione europea di affrontare con spirito autenticamente solidale i grandi problemi sul tappeto. Mettiamo un attimo da parte il tema della pandemia, che pure non è affatto marginale. Prendiamo invece un problema enorme come il governo dei flussi migratori e vedremo come sia difficile che si vada al massimo oltre qualche buona parola. Il tema di ridistribuzione di migranti che approdano sul territorio europeo continua ad essere un tabù. Se parliamo di come dovranno essere le case nel futuro, allora esigiamo che dappertutto ci sia la stessa Europa. Se parliamo di dove arrivano i migranti, non ci sono più confini e territori europei, ma solo casi nazionali (anzi il tema è come giustificare il diritto degli Stati non di primo approdo a rispedire lì coloro che fortunosamente giungessero sui loro territori).


Non che tutto si riduca a questo. Ci sono questioni spinose come la ripresa dell’inflazione, i costi dell’energia in crescita, il tema della difesa comune, il tutto con sullo sfondo la questione della Bielorussia e delle mire russe sull’Ucraina, due faccenduole che incidono pesantemente sui rifornimenti di gas per questo inverno e non solo. Giustamente Draghi ha di nuovo attirato l’attenzione sulla regola dell’unanimità che blocca da sempre, ma in misura più rilevante dopo il notevole allargamento ad Est, le capacità decisionali dei vertici politici della Ue, che stanno ancora, anche qui fuor di ogni retorica, nel Consiglio dei capi di stato, con ruoli assai meno incisivi tanto per la Commissione e le sue burocrazie quanto per il parlamento europeo.
Dell’Unione europea c’è gran bisogno, noi ne siamo convinti, ma non servono gli ideologismi del politicamente corretto e alla moda a cui inclinano, sin in un linguaggio stereotipato e da casta fuori dal mondo, i documenti che producono le burocrazie brussellesi, né i machiavellismi prodotti dall’equilibrismo a cui è costretto ad attenersi il Consiglio europeo. Ci vuole un salto nella politica vera, quella che decide tagliando i nodi, ma che lo fa con il realismo di sapere che ci sono storie, nazionali e non solo, di cui bisogna tenere conto.
Non per monumentalizzarle in vulgate da fumetti come fa un sovranismo che cerca di dilagare, ma per seguire il loro flusso nei secoli quando hanno mostrato tutta la loro capacità creativa di fronte alle molteplici sfide attraverso cui è passato il nostro continente.

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