Ferdinando Adornato
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Conflitti interni/ L’asse Pd-M5S alla ricerca di equilibrio

di Ferdinando Adornato
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Venerdì 27 Maggio 2022, 00:03

Enrico Letta è di fronte a un pungente dilemma. Il segretario del Pd è certamente un leader intelligente. E ci tiene a non apparire un politico dalla “doppia morale”, uno di quelli che grida alla luna nel momento della propaganda per poi improvvisare quando è il tempo di assumersi responsabilità. Troppi suoi colleghi si comportano così e lui cerca giustamente di distinguersi. Ma proprio per questo egli sa bene che tra il suo orizzonte ideale e la realtà quotidiana con cui deve fare i conti c’è un ostacolo assai arduo da superare: Giuseppe Conte e il movimento 5stelle. Tramontata la stagione della rivolta contro la casta, infatti, l’avvocato sta esibendo una scarsa affidabilità “di governo” muovendosi piuttosto, dal tema della guerra a quello delle riforme, alla ricerca di una nuova, seppur confusa, visibilità elettorale. Gli “strappi” messi in atto verso Draghi non saranno forse sufficienti a creare seri problemi all’esecutivo, ma certamente fanno prevedere tempo di burrasca sul futuro della coalizione di centrosinistra.

Enrico Letta lo sa. E di qui nasce il suo dilemma: il realismo gli suggerisce che, permanendo l’attuale legge elettorale (come appare probabile) il Pd non potrà rinunciare all’alleanza con il movimento di Conte. Ma, con speculare realismo, sa anche che gestire il dopo-Draghi sarà un’impresa proibitiva da compiere assieme a un movimento in declino, e perciò stesso più instabile. Realismo contro realismo. Si tratta, come si vede, di un dubbio amletico non facile da sciogliere. Anche perché quando Renzi, dopo la crisi del patto Salvini-Di Maio, pur di evitare il voto, impose il “governo giallorosso”, Letta, subì la scelta. Istintivamente non era d’accordo. Sapeva e sa, infatti, quanto gran parte del popolo del Pd ritenga “innaturale” l’alleanza con un movimento populista, tollerata nei fatti solo per contrastare il centrodestra. 
Basti pensare che, per tre volte nella sua storia, l’Italia si è trovata di fronte a rilevanti ondate antipolitiche e antiparlamentari. Nei dintorni degli anni Venti con l’avvento del fascismo, alla fine degli anni Sessanta con la grande contestazione ai partiti di massa e, da ultimo, con la rivolta anti-casta che ha premiato l’invenzione di Grillo. Ebbene, in tutti questi sommovimenti storici, il filone culturale che il Pd oggi rappresenta si è sempre trovato dall’altra parte della barricata rispetto al populismo e all’umiliazione del concetto di rappresentanza parlamentare. Perciò l’alleanza con i 5stelle appare innaturale a un partito che si fa vanto di battersi per ripristinare la politica con la P maiuscola.

Traguardo tanto più necessario se si tiene conto del fatto che (e Letta lo sa bene perché lo insegnava quando era a Parigi) l’ecosistema politico è ormai a rischio in tutto il mondo e minaccia la tenuta stessa dei regimi liberali. Per di più l’Italia, in tale processo degenerativo, è un anello debole. 

In definitiva: o il “comando politico” torna ad essere capace di leggere il futuro, proponendo in anticipo regole in grado di governare l’evoluzione, oppure il “deficit di decisione” segnerà ancora a lungo il nostro destino, minando alla radice il consenso democratico. E’ questa la vera posta in gioco nel “dilemma di Letta”, che in realtà è un enigma nazionale, visto che analoghe instabilità minano anche il centrodestra. Non a caso, nel giro di un decennio, abbiamo dovuto far ricorso a due governi di “unita nazionale”, disperata e anomala testimonianza di un sistema politico “bloccato”.

Che fare dunque? Come detto, non è realistico pensare che Letta possa rinunciare all’alleanza con Conte. Ma non è neanche possibile ignorare il peso politico che il Pd deve sopportare in nome di quest’alleanza innaturale. Ci sono forse, allora, due mosse “preventive” che quel partito può mettere in campo nel tempo, abbastanza lungo, che ci porterà al dopo-Draghi. La prima è quella di prevedere un largo coinvolgimento del popolo della coalizione, sullo schema delle primarie, nella definizione di un progetto di governo europeo, riformista e innovativo rendendolo così il più possibile vincolante per i 5stelle. Dove la parola europeo va naturalmente sottolineata due volte. La seconda è quella di rifiutarsi allo schema, ahimè consueto, della “guerra civile elettorale” considerando il centrodestra un avversario e non un nemico. Il che vuol dire lanciare, fin da ora, ponti di dialogo (forse in specie a Giorgia Meloni che appare, allo stato, la più affidabile). Ciò farebbe certamente bene alla civiltà del nostro discorso pubblico ma, soprattutto, non inquinerebbe i pozzi di un eventuale nuovo governo di unità nazionale, prospettiva che certo non si può escludere. Insomma, nello sciogliere i suoi dilemmi, la nostra politica non deve mai dimenticare l’insegnamento di Cicerone: “Per tutti unico deve essere l’obiettivo: e cioè che coincida l’utilità dei singoli e quella dell’intera comunità. Perché se ciascuno intende impadronirsene per sé, si dissolverà l’intero consorzio umano”.

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