È stata rinviata l’approvazione definitiva dell’ormai noto progetto di direttiva europea che introduce l’obbligo a partire dal 2035 di produrre negli stabilimenti europei solo auto e furgoni con motori a propulsione elettrica. L’industria automotive italiana è contraria, non solo italiana a dire il vero, anche il presidente dell’Acea (l’associazione europea dei costruttori di automobili) in più di una occasione ha manifestato perplessità su questa scelta, ma si è proseguito su questa strada: il progetto prima o poi diventerà una norma. Si tratta di una scelta politica, a dire il vero non isolata nel mondo, si pensi che in California addirittura si sta prevedendo per il 2035 a bloccare non la produzione ma addirittura la vendita di tutti i veicoli a propulsione termica, anche quelli già immatricolati. Ma l’Europa e l’Italia non sono la California, hanno un sistema produttivo e sociale molto più diversificato e assai più complesso. Riteniamo che debbano essere fatte alcune riflessioni (tendenzialmente) critiche, più profonde rispetto a ciò che la prevalenza dei commentatori lamenta, ossia la mancanza di una transizione più lunga e graduale verso l’elettrificazione che porrebbe in difficoltà la transizione ecologica delle nostre imprese a breve-medio termine. E’ invece nostra convinzione che auto elettriche e auto termiche (con carburanti verdi) non possano che convivere, anche a lungo termine, cercando di trarre opportunità economiche e sociali da entrambe le filiere. Innanzitutto, sotto il profilo delle scelte di politica legislativa. Vi sono due posizioni, quella ecocentrica, che vede la tutela dell’ambiente - di per sé considerato - come fine ultimo delle misure a tutela della natura e quella antropocentrica, che invece individua l’essere umano al centro degli ecosistemi ed è il suo benessere (si parla oggi di “One Health”) da preservare. La direttiva apparentemente sembrerebbe essere fondata su una logica ecocentrica, senza tuttavia che vi sia sottesa una seria riflessione sulle conseguenze di una tale estrema scelta. Anche volendo sacrificare la ricchezza di un sistema produttivo (e quindi dei suo lavoratori) e l’equilibrio sociale sull’altare della preservazione della natura, davvero questo obiettivo si raggiunge? C’è scientificamente da dubitarne. Un dato su tutti, facilmente reperibile in letteratura e dottrina: il parco circolante europeo nella sua interezza emette circa l’1 per centro di CO2 (l’anidride carbonica, imputata principale dei cambiamenti climatici) mondiale.
* Ordinario di diritto ambientale Università Campus Bio-medico di Roma