Francesco Bruno
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​Nuove strategie / I passi da fare per una transizione sostenibile

di ​Francesco Bruno
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Sabato 4 Marzo 2023, 00:03

È stata rinviata l’approvazione definitiva dell’ormai noto progetto di direttiva europea che introduce l’obbligo a partire dal 2035 di produrre negli stabilimenti europei solo auto e furgoni con motori a propulsione elettrica. L’industria automotive italiana è contraria, non solo italiana a dire il vero, anche il presidente dell’Acea (l’associazione europea dei costruttori di automobili) in più di una occasione ha manifestato perplessità su questa scelta, ma si è proseguito su questa strada: il progetto prima o poi diventerà una norma. Si tratta di una scelta politica, a dire il vero non isolata nel mondo, si pensi che in California addirittura si sta prevedendo per il 2035 a bloccare non la produzione ma addirittura la vendita di tutti i veicoli a propulsione termica, anche quelli già immatricolati. Ma l’Europa e l’Italia non sono la California, hanno un sistema produttivo e sociale molto più diversificato e assai più complesso. Riteniamo che debbano essere fatte alcune riflessioni (tendenzialmente) critiche, più profonde rispetto a ciò che la prevalenza dei commentatori lamenta, ossia la mancanza di una transizione più lunga e graduale verso l’elettrificazione che porrebbe in difficoltà la transizione ecologica delle nostre imprese a breve-medio termine. E’ invece nostra convinzione che auto elettriche e auto termiche (con carburanti verdi) non possano che convivere, anche a lungo termine, cercando di trarre opportunità economiche e sociali da entrambe le filiere. Innanzitutto, sotto il profilo delle scelte di politica legislativa. Vi sono due posizioni, quella ecocentrica, che vede la tutela dell’ambiente - di per sé considerato - come fine ultimo delle misure a tutela della natura e quella antropocentrica, che invece individua l’essere umano al centro degli ecosistemi ed è il suo benessere (si parla oggi di “One Health”) da preservare. La direttiva apparentemente sembrerebbe essere fondata su una logica ecocentrica, senza tuttavia che vi sia sottesa una seria riflessione sulle conseguenze di una tale estrema scelta. Anche volendo sacrificare la ricchezza di un sistema produttivo (e quindi dei suo lavoratori) e l’equilibrio sociale sull’altare della preservazione della natura, davvero questo obiettivo si raggiunge? C’è scientificamente da dubitarne. Un dato su tutti, facilmente reperibile in letteratura e dottrina: il parco circolante europeo nella sua interezza emette circa l’1 per centro di CO2 (l’anidride carbonica, imputata principale dei cambiamenti climatici) mondiale.

La Cina ogni sette mesi aumenta le proprie emissioni di anidride carbonica quanto produce in un anno l’intero parco europeo automobilistico. E qui veniamo alla seconda considerazione, quella geo-economica. La nuova politica della Ue è chiara: si intende modificare la struttura del sistema industriale continentale, creando nuovi equilibri anche a livello internazionale: diminuire la dipendenza dai produttori di carburanti di origine fossile, aumentarla con quelli di tutti quei minerali (terre rare e altro) necessari per le tecnologie green. Inoltre, variando le politiche di sviluppo a favore di alcuni territori, che hanno già scommesso da anni sulla motorizzazione elettrica ed hanno avanzati progetti di ricerca e sviluppo, a scapito di altri che si sono concentrati sui “carburanti verdi”, anche probabilmente avendo avuto rassicurazioni su una durata ancora a medio termine del settore. Ciò si collega al terzo spunto di riflessione, ossia il ruolo dell’Italia nel contesto delle politiche continentali e in quelle internazionali. Sicuramente rientriamo tra gli Stati che ancora non hanno un sistema produttivo pronto alla (sola) elettrificazione del parco auto e siamo i primi danneggiati da scelte estreme ecocentriste, pur essendo titolari del secondo sistema manifatturiero per importanza dopo la Germania. Il governo sembrerebbe voler giocare una partita – difficile ma realizzabile - che lo vede protagonista, sia nel cercare di limitare e rendere maggiormente ragionevoli le istituzioni comunitarie, sia nel negoziare con gli altri partner europei una strada che consenta a tutti di svilupparsi in senso sostenibile, senza limitare le proprie prospettive di crescita economica. Infine, considerando che la competenza sulla geo-politica internazionale, ai sensi dei Trattati Ue, è tendenzialmente dei Paesi membri, dobbiamo con dinamismo, equilibrio e visione prospettica, comunque essere pronti ad una tendenziale elettrificazione, che speriamo sia maggiormente graduale e non totalizzante, ma diverrà realtà. Sarà necessario investire già da subito come “sistema Paese” su accordi con gli Stati produttori delle nuove materie prime (che diverranno nei prossimi decenni il nuovo petrolio) e soprattutto iniziare a ripensare le nostre politiche estrattive, anche nei nostri territori, pena la marginalizzazione economica, il ridimensionamento del Pil e la diminuzione del potere di acquisto dei cittadini italiani.


* Ordinario di diritto ambientale Università Campus Bio-medico di Roma

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