Giuseppe Vegas
​Giuseppe Vegas

Economie globali / La sfida dell’Europa e il sostegno dei privati

di ​Giuseppe Vegas
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Sabato 17 Febbraio 2024, 23:39
La prossima settimana Mario Draghi illustrerà all’Ecofin, l’organismo dove sono presenti i ministri finanziari dell’Unione Europea, le linee guida del rapporto sulla competitività del sistema europeo, che gli è stato richiesto dalla presidente della commissione Ursula von der Leyen. 
Si tratta di un documento importante e molto atteso, sia per la persona che lo ha redatto, sia per il suo contenuto. Infatti l’Europa necessita oggi di accrescere la sua presenza sui mercati internazionali. Fattore imprescindibile per far ripartire la leva dello sviluppo, ormai in stagnazione negli ultimi due decenni.
L’occasione è naturalmente troppo importante per esaurirsi in un volume da affidare ai posteri. Proprio per questo è cruciale che la presentazione del documento avvenga di fronte ad un organismo tecnico e permanente, anche se composto da esponenti politici, piuttosto che al parlamento o alla Commissione, organi che sono destinati a decadere tra pochi mesi.
Occorrerà dunque attenderne l’illustrazione da parte del nostro ex presidente del Consiglio. Non c’è da dubitare che le sue proposte andranno al cuore del problema e indicheranno i più efficaci rimedi per riportare il Vecchio Continente ad un livello di competitività al passo con i tempi. Infatti oggi ci troviamo in una posizione arretrata rispetto alle realtà continentali più evolute, gli Stati Uniti e la Cina. Dieci anni orsono il Pil pro capite in Europa era stimato in circa 33 mila euro l’anno. Ora è cresciuto solo di mille euro. Negli Usa nello stesso periodo è aumentato del 50 per cento e in Cina di oltre il 400 per cento. Se poi consideriamo anche gli effetti dell’inflazione, risulta evidente che gli europei hanno imboccato una strada che li sta condannando alla povertà.
Prima di cercare i rimedi, occorre però comprendere i motivi di questo drammatico cambiamento: l’Europa ha rinunciato a percorrere con determinazione la strada dell’innovazione attraverso la trasformazione digitale del suo sistema produttivo. Non ha finanziato adeguatamente la ricerca, né adottato iniziative efficaci per evitare che i nostri scienziati e le imprese tecnologiche trovassero all’estero un ambiente più stimolante. 
Siamo rimasti indietro nelle invenzioni di nuove tecnologie e nello sfruttamento delle immense potenzialità dell’informatizzazione di processi e prodotti. Il mondo è cambiato e noi abbiamo perso il treno.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Mentre fino a circa un decennio fa, prima dell’era dell’intelligenza artificiale, la realtà produttiva europea era in grado di fronteggiare le economie più avanzate, di produrre innovazioni tecnologiche e di mantenere la leadership in molti mercati, oggi utilizza strumenti e tecnologie importate. 
Nel passato abbiamo prodotto invenzioni che hanno migliorato radicalmente le nostre condizioni di vita, e che contemporaneamente sono state strumento di diffusione del benessere in tutto il mondo. Ora invece siamo diventati consumatori di prodotti tecnologici, che paghiamo a caro prezzo.
È successo che gli europei, schiacciati dai pesanti problemi che si sono succeduti senza discontinuità soprattutto nel nuovo secolo, tra l’avvio dell’euro, la crisi economica, la pandemia e le guerre, non hanno avuto i mezzi, e forse neanche la voglia, di comprendere le conseguenze della trasformazione in atto nel mondo delle imprese e di adeguare i loro obiettivi e strumenti. 
Ciò che è accaduto è che non sono stati in grado di sfruttare quel booster tecnologico che, a somiglianza di quanto avvenne un secolo fa con l’avvento del fordismo nell’industria automobilistica, può costituire l’unica occasione per dar vita ad una vera e propria impennata nella crescita economica.
Nella disattenzione europea, dall’altro lato dell’Oceano e in Estremo Oriente sono nate imprese che sono riuscite a sfruttare le nuove opportunità e soprattutto non hanno trovato ostacoli politici o giuridici alle loro iniziative. Esse sono rapidamente cresciute sino a diventare gigantesche e, godendo della negligenza benigna dei loro governi, si sono velocemente trasformate in monopolisti. 
Questa inusitata posizione di vantaggio a livello globale ha permesso loro di disporre di capitali stratosferici, con i quali hanno costruito la loro supremazia tecnologica. Che, è appena il caso di ricordare, non si basa solo sulla potenza di calcolo delle macchine e sulla capacità di storaggio dei dati, ma soprattutto sul possesso delle autostrade informatiche.
Su di esse i dati possono viaggiare ad una velocità tale non solo da consentire di elaborare e fornire i prodotti e i servizi richiesti dal mercato, ma soprattutto di creare nuovi mercati.
Oggi, finalmente, qualcosa sta cambiando. L’antitrust europeo si è mosso, sono arrivate le prime sanzioni contro i monopolisti e sta iniziando a prendere corpo una regolamentazione delle Big Tech, anche in campo fiscale.
Tutto ciò non è sufficiente. È indispensabile anche programmare uno sforzo economico, che si preannuncia assai impegnativo. Secondo alcuni calcoli, sarebbe necessario, per sedersi al tavolo dello sviluppo mondiale, investire una somma dell’ordine di un trilione di euro. Cifra colossale, certo non presente nel bilancio europeo né tantomeno in quelli degli Stati, ma che potrebbe tuttavia essere reperita solo con un’azione sinergica di coordinamento di tutte le risorse disponibili. 
Forse si è finalmente conclusa l’epoca di dividere il mondo tra le iniziative pubbliche e quelle private. Oggi quei due mondi, che prima neppure si parlavano, potranno sperare di sopravvivere solo se uniranno finalmente le loro forze.
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