Oxfam, cinque generazioni da povero per arrivare al reddito medio

Oxfam, cinque generazioni da povero per arrivare a un reddito medio
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Venerdì 27 Settembre 2019, 12:17
L'ascensore sociale in Italia è bloccato e le aspirazioni dei giovani a un futuro più equo appaiono oggi fortemente compromesse. E le condizioni di vita persistono nel passaggio generazionale «a tal punto che i figli delle persone collocate nel 10% più povero della popolazione italiana, sotto il profilo retributivo, ad oggi avrebbero bisogno di 5 generazioni per arrivare a percepire il reddito medio nazionale». È quanto emerge dal nuovo rapporto Oxfam «Non rubateci il futuro» in cui si mette in evidenza che «ai due estremi della distribuzione della ricchezza, 1/3 dei figli di genitori più poveri, è destinato a rimanere fermo al piano più basso dell'edificio sociale, mentre il 58% di quelli i cui genitori appartengono al 40% più ricco, manterrebbe una posizione apicale».

Da qui il lancio della campagna «People Have the Power» per richiamare l'attenzione su «un'istruzione sotto-finanziata anche nel 2020» e un mercato del lavoro dove il 13% degli under 29 è «working poor» per l'aumento della precarietà lavorativa e la vulnerabilità dei lavori più stabili.

«Viviamo in un’epoca e in un paese in cui ricchi sono soprattutto i figli dei ricchi e poveri i figli dei poveri, con rischi di svilimento della tenuta sociale e rottura del patto generazionale - ha detto Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia -. Ragazzi e ragazze che in molti casi hanno pochissime, se non nessuna possibilità di migliorare la propria condizione rispetto alla generazione precedente. Tutto questo non è altro che l’emblema di una società immobile, che offre alle nuove generazioni una limitatissima sfera di opportunità. Lo specchio di una disuguaglianza economica e sociale, che anziché attenuarsi di generazione in generazione, nella migliore delle ipotesi, non si riduce mai».
 
Istruzione sotto-finanziata. Rispetto a quanto accadeva in passato, oggi il sistema dell’istruzione italiano offre minori garanzie di emancipazione sociale, sottolinea ancora Oxfam. A parità di istruzione, le origini familiari hanno impatti non trascurabili sulle retribuzioni lorde dei figli: il figlio di un dirigente ha oggi un reddito netto annuo superiore del 17% rispetto a quello percepito dal figlio di un impiegato, che abbia concluso un ciclo di studi di uguale durata. A fronte della sua fondamentale missione sociale, il nostro sistema dell’istruzione, con un investimento al 3,7% del Pil nel 2017, proiettato al 3,5% nel 2020 nell’ultimo Def, soffre di un cronico sotto-finanziamento, mostra accentuati squilibri in termini di qualità dell’offerta formativa, nonché una forte incidenza degli abbandoni precoci, risalita al 14,5% nel 2018 e con picchi nel Mezzogiorno ben al di sopra della media nazionale.
 
Working poor. I giovani che ambiscono a un lavoro di qualità devono fare oggi i conti con un mercato del lavoro disuguale, caratterizzato, nonostante la ripresa dei livelli occupazionali dal 2008, dall’aumento della precarietà lavorativa e dalla vulnerabilità dei lavori più stabili, rileva ancora Oxfam. Il lavoro non basta più a garantire un livello di vita dignitoso: nel 2018 circa il 13% degli occupati nelle fasce d’età tra i 16 e i 29 anni era working poor, faceva cioè parte di una famiglia con reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale. Il fenomeno è riconducibile in buona parte agli inadeguati livelli retributivi che vedono i giovani penalizzati da quasi 40 anni nei livelli delle retribuzioni annue medie, rispetto agli occupati più anziani. Un fenomeno che va di pari passo con la proliferazione di contratti di breve durata e il boom degli occupati in part-time involontario che ha visto un incremento di 1.500.000 di unità nel decennio 2008-2018.
 
Un quadro d’insieme reso ancor più cupo dal persistente scollamento tra la domanda e l’offerta di lavoro qualificato: l’Italia detiene oggi il triste primato nel G7 per il maggior numero di laureati occupati in mansioni di routine e solo l’anno scorso 1,8 milioni di persone in possesso del titolo di laurea erano impiegati in professioni che richiedono un titolo di studio inferiore. L’assenza di posizioni lavorative qualificate e di prospettive di progressione di carriera condiziona fortemente la scelta di tanti italiani, oltre mezzo milione negli ultimi 4 anni, di trasferirsi all’estero: tra questi i giovani laureati costituiscono oggi tristemente la componente più rappresentativa. Ulteriore allarme desta poi l’elevato numero dei giovani italiani che non lavorano, né studiano, né sono impegnati in percorsi di formazione, la cosiddetta generazione NEET (Not in Education, Employment or Training), di cui faceva parte nel 2018 circa 1 giovane su 4 tra i 15 e i 34 anni.

Il manifesto. Dai un taglio alle disuguaglianze è lo slogan scelto dai giovani protagonisti della campagna People Have the Power per richiamare l’attenzione pubblica e sollecitare l’azione dei decisori politici verso l’attuazione di urgenti misure di contrasto alle disuguaglianze che stanno fortemente compromettendo il loro futuro.
 
La campagna People Have the Power nasce all’interno di un progetto finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) volto a favorire la comprensione da parte dei giovani delle cause alla base di una sempre più accentuata disuguaglianza economica in Italia e nel mondo e dell’impatto che ne consegue sui livelli di povertà ed esclusione sociale. 


 
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