Sul fronte legale la richiesta di Vivendi di essere accettata nella prossima cruciale assemblea sarà discussa di fronte al giudice del Tribunale di Milano Amina Simonetti, lo stesso che ha rigettato l'urgenza per l'annullamento delle precedenti assise richiesta dalla fiduciaria Simon, la società alla quale i francesi hanno dovuto girare una quota del 19% eccedente il 9,9% posseduto nel gruppo televisivo. Il giudice ha già deciso che dovrà esserci un'udienza con la convocazione delle parti e l'ha fissata per giovedì prossimo, mentre la prima richiesta di Vivendi era che si procedesse 'inaudita altera partè. Ancora non risulta alcuna decisione da parte di Simon, ma l'assise Mediaset del 4 settembre si avvicina e il suo ruolo è cruciale: l'eventuale presenza della sola Vivendi difficilmente impedirà l'approvazione della fusione con la controllata spagnola e l'avvio del progetto MediaforEurope.
Ma al centro della contesa resta il prezzo del titolo Mediaset, che determina attraverso il concambio la possibilità
che anche in Spagna il recesso sia o meno conveniente: l'ultima seduta di Piazza Affari è stata negativa dell'1,23% a 2,93 euro, una quota comunque di sicurezza per il successo della fusione. Un livello conquistato con l'impennata del 15% dei giorni di Ferragosto, quando qualche fondo acquistò in vista proprio dell'assemblea decisiva e altri si ricoprirono da posizioni corte che scommettevano sul fallimento dell'operazione. Anche perché la carta del recesso da parte dei francesi è giocabile ma a questi prezzi piuttosto spuntata, soprattutto perché se in inverno il titolo sarà sopra i 2,77 si troveranno investitori pronti a subentrare. Ma anche perché per i francesi sarebbe un salasso. Secondo Equita, è vero che i titoli in mano direttamente o indirettamente a Vivendi valgono quasi un miliardo e quindi molto di più dei 180 milioni messi a disposizione dal Biscione, ma se esercitasse il recesso Vivendi accuserebbe una perdita superiore ai 300 milioni.
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