Sull'offerta di scambio che Mediobanca sta tentando di lanciare su Banca Generali ci si potrebbe chiedere cosa è cambiato rispetto al 16 giugno, quando Piazzetta Cuccia decise di rimandare al 25 settembre l'assemblea decisiva per il via libera all'operazione ammettendone implicitamente la fumosità. Rispetto a un mese e mezzo fa piuttosto che fare chiarezza, le mosse di Alberto Nagel sembrano aver aggiunto alcune forzature. Ma andiamo con ordine. Nel documento di offerta si ipotizza, per poter far funzionare l'operazione, un patto a tre, vale a dire tra Mediobanca, Generali e Banca Generali. Cosa ci sarà scritto in questo patto, il suo contenuto, è essenziale per garantire al Leone di Trieste di continuare ad avere in futuro i notevoli flussi di utili garantiti dal contratto con Banca Generali. Un contratto che, tra le altre clausole, prevede una esclusiva a favore di Banca Generali che andrà a scadenza tra tre anni; e una eventuale proroga degli accordi necessita del consenso della stessa Banca Generali.
Quest'ultima ha già fatto sapere per iscritto al suo azionista, le Generali, che non intende trattare sotto la pressione di tempi contingentati. Su questi temi insomma, non si può andare di fretta e non ci si può far condizionare dagli interessi di Nagel. Quest'ultimo allora, con una giravolta tipica di un certo modo di rimescolare la carte in tavola per addomesticare i fatti, ha iniziato a parlare non più di un patto a tre, ma solo di un patto tra Mediobanca e Generali. Un patto che non avrebbe alcun significato senza la partecipazione di Banca Generali. Un patto che, nei piani di Nagel, conterrebbe al suo interno clausole pesantissime per il Leone di Trieste. Si aggiunga inoltre che il top manager di Mediobanca ha dato solo sette giorni lavorativi al consiglio di amministrazione delle Generali (convocato per il 6 agosto) per dare una risposta su questa “minuta” di contratto. Difficile, se non impossibile, esprimersi con cognizione di causa su un'operazione così complessa in tempi tanto ristretti.
Così Nagel ha tirato fuori dalla manica un altro asso. Ha “suggerito” al fidato presidente delle Generali, Andrea Sironi, di dare una risposta qualunque, purché non sia un esplicito disco rosso, per dare in questo modo la possibilità a Mediobanca di procedere con l'operazione. Nessun atto, nessun documento firmato; a Nagel basterebbe, si potrebbe dire, una strizzata d'occhio. A voler essere maliziosi, lo si potrebbe leggere come un tentativo di confondere le carte pensando di poter trarre in inganno gli azionisti che parteciperanno all'assemblea del 21 agosto. Azionisti, probabilmente non a caso, citati immediatamente a uno a uno da Mf, un organo di stampa che fino ad oggi ha appoggiato le posizioni di Mediobanca. Ma è ovviamente difficile pensare a un tale grado di ingenuità degli azionisti. Insomma, per tirare le fila, senza un accordo a tre, tra Mediobanca, Generali e Banca Generali, che metta in grado di valutare la convenienza dell'operazione, ci si troverà esattamente nelle stesse condizioni del 16 giugno.
LE CONDIZIONI
A questo punto vale comunque la pena soffermarsi sulle condizioni fondamentali contenute nello schema di accordo che Mediobanca ha proposto a Generali. La prima è la proroga, considerata essenziale, della durata da 3 a 10 anni degli accordi con Banca Generali. Proroga ovviamente impossibile senza il consenso di quest'ultima. La seconda condizione è la rinuncia del Leone di Trieste alla clausola che con il cambio di controllo Banca Generali perda il marchio “Generali”. E' chiaro che il Leone di Trieste dovrebbe valutare attentamente l'opportunità di farlo poichè il marchio ha un valore (e si parla di un miliardo, un miliardo e mezzo). Per approfondire questo passaggio serve tempo e studio, che l'ultimatum di una settimana di certo non permette. Ma è probabilmente sulla questione del lock up (cioè il divieto di vendita per un anno delle azioni) che Nagel si è fatto scacco da solo. Le possibilità sono solo due. La prima è la rinuncia da parte di Mediobanca al lock up. In questo caso si riaprirebbe la partita del golden power. Il via libera del governo è arrivato a seguito dell'affermazione di Generali che non era ancora maturato un progetto per il pacchetto del 6,7% che il Leone si sarebbe trovato in portafoglio a valle dell'operazione, proprio perché davanti c'erano 12 mesi per decidere. Se venisse meno questo elemento chiave, l'operazione andrebbe rinotificata e i tempi si allungherebbero. L'alternativa è che Mediobanca non rinunci al lock up. In questo caso però tutti gli altri azionisti di Banca Generali riceverebbero azioni “libere” dal lock up, mentre le Generali otterrebbero azioni vincolate, di valore inferiore. Significherebbe offrire ai soci condizioni diverse, mentre per legge devono essere uguali per tutti. Se così fosse, il (docile) consiglio di Generali accetterebbe, un prezzo inferiore a danno della società, esponendosi a una sicura azione di responsabilità.
LE ANOMALIE
Non va però dimenticato che la maggioranza del board è stata nominata in base a una lista presentata da Mediobanca, o forse si potrebbe dire dallo stesso Nagel, perché non sarebbe passata ma imposta al cda. Così stando le cose, la maggioranza dovrebbe astenersi perché si troverebbe in un chiaro conflitto di interessi. La Consob, sempre secondo alcune fonti, avrebbe acceso un faro sui contatti tra Mediobanca e i membri del consiglio prima della loro elezione e del lancio dell'Ops su Banca Generali e sull'Ops stessa.