L'Europa mastica amaro all'indomani della firma di Donald Trump sull'ordine che impone dazi del 15% per gran parte dell'export dell'Ue diretto negli Stati Uniti, ma continua a fare buon viso a cattivo gioco. Finora, infatti, Bruxelles ha assaggiato solo il bastone e non anche la carota promessa da Washington, cioè l'azzeramento o la riduzione di alcune sovrattasse, in particolare su automobili e aerei civili. Le Borse europee hanno fatto registrare un tonfo, bruciando 269 miliardi di euro, con Milano che ha chiuso in profondo rosso a -2,55% e Parigi e Francoforte sulla stessa scia (rispettivamente a -2,91% e -2,66%), in risposta alla nuova lenzuolata di dazi nei confronti di una novantina di Paesi. Ma la debolezza si fa sentire anche sugli indici di Wall Street, dall'S&P500 al Dow Jones passando per il Nasdaq. Il 10% si applica a quelli con cui gli Usa hanno un avanzo commerciale, mentre per gli altri si va sopra questo livello e fino al 41%, con un inatteso picco che riguarda la Svizzera, punita col 39%. Le dogane americane inizieranno a incassare i pagamenti da venerdì prossimo (ma dal 5 ottobre per le merci che arrivano via nave, purché spedite prima dell'8 agosto).
IL SOLLIEVO
La Commissione Ue prova comunque a tirare un sospiro di sollievo, a evocare prevedibilità negli scambi e a evitare ogni strappo. Soprattutto dato il momento particolarmente delicato. Del resto, le due sponde dell’Atlantico non sono ancora riuscite a mettere nero su bianco, in una dichiarazione politica congiunta (seppur non giuridicamente vincolante), gli impegni pattuiti domenica scorsa nel golf resort scozzese di Turnberry. «I nuovi dazi imposti dagli Usa rappresentano i primi risultati concreti dell’accordo tra Ue e Usa, con particolare riferimento al tetto del 15% complessivo. Questa misura contribuisce a rafforzare la stabilità delle imprese europee e a consolidare la fiducia nell’economia transatlantica», ha scritto su X il commissario al Commercio Maros Sefcovic, capo-negoziatore dell’Unione in questi mesi di serrati contatti con l’amministrazione americana. Che non si fermeranno qui.
Messo al sicuro il 15% «tutto incluso» che riguarda due terzi delle esportazioni Ue verso gli Usa, l’attenzione rimane sui settori che sono rimasti ai margini. Anzitutto le auto con relativa componentistica: l’accordo politico siglato con una stretta di mano da Trump e von der Leyen prevedeva, infatti, una sostanziosa riduzione dei dazi che sarebbero dovuti passare dall’attuale 27,5% all’aliquota generale del 15%. Ma, secondo quanto si apprende a Bruxelles, questa modifica non è stata ancora apportata, e i prelievi (perlomeno per il momento) rimangono invariati.
Allo stesso modo, Washington non ha ancora dato seguito alle promesse di azzerare del tutto le sovrattasse su alcuni beni strategici tra cui spiccano gli aeromobili civili e la loro componentistica: una misura negoziata per prolungare la tregua dei cieli tra i due rispettivi colossi, la francese Airbus e l’americana Boeing. Di questa categoria avrebbero dovuto fare parte altre merci tra cui prodotti chimici, alcuni farmaci generici, determinati prodotti agroalimentari, macchinari per semiconduttori, materie prime e risorse naturali: per tutti vale l’aliquota al 15%.
Alla vigilia dell’adozione dell’ordine esecutivo, una prima doccia gelata era già arrivata sugli alcolici: nel caso di vino e distillati, una quadra non si era ancora ottenuta a Turnberry, ma la Commissione s’era detta determinata ad abbassarli o persino azzerarli nelle trattative tecniche successive. Per ora, però, nulla da fare: pure in questo caso, scatta il 15% «pigliatutto». La seconda battuta d’arresto in poche ore ha causato qualche scompiglio, anche se a Bruxelles fonti vicine al dossier scommettono che gli attesi provvedimenti di clemenza presidenziale dovranno arrivare «nel giro di qualche giorno».
LE INCOGNITE
L'imperscrutabile Trump, però , ha abituato i suoi interlocutori a tutto, e ai piani alti della Commissione non si può dire dormano sonni tranquilli. Dopo i primi passi, però, altri dovranno necessariamente seguirne, spiegano da Bruxelles. Ad esempio su acciaio e alluminio, ancora oggi tassati al 50% ma per cui si lavora all'identificazione di quote: per il cancelliere tedesco Friedrich Merz, l'obiettivo è «raggiungere accordi ragionevoli che diano all'industria siderurgica sufficienti opportunità di esportazione». Chi se la passa peggio sono i vicini degli Usa (geograficamente, non politicamente), con Canada e Brasile nel mezzo della tempesta trumpiana. A Ottawa il magnate ha rinfacciato la volontà di voler riconoscere lo Stato palestinese e l'assenza di cooperazione nello stop al traffico di fentanyl e altre droghe, aumentando i dazi dal 25% al 35% sui prodotti non coperti dall'accordo commerciale nordamericano come auto e legno. Ma la porta, secondo la Casa Bianca, rimane aperta al dialogo. Il Brasile, già colpito da dazi-record del 50% per via del processo per tentato golpe all'ex presidente Jair Bolsonaro, rimane invece deciso a negoziare, pur non escludendo possibili ritorsioni.