Autostrade cede e alza l’offerta, ma il governo è ancora diviso

Autostrade cede e alza l’offerta, ma il governo è ancora diviso
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Domenica 12 Luglio 2020, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 18:07

ROMA Per chiudere la battaglia sulla concessione della rete dopo il crollo del Ponte Morandi, Autostrade e la sua società controllante hanno deciso di cedere a quasi tutte le richieste avanzate dal governo. Una resa quasi inevitabile, dopo la sentenza con la quale la Consulta ha dichiarato legittima l’esclusione della società dalla ricostruzione del Polcevera dando un’arma negoziale potente nelle mani del governo. Per firmare l’armistizio, il gruppo controllato dalla famiglia Benetton mette sul piatto un assegno di 3,4 miliardi di euro. Sono 500 milioni in più della prima proposta presentata il 5 marzo, e 400 in più di quella consegnata a Palazzo Chigi il 10 giugno scorso. Quello che voleva il governo.

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Un miliardo e mezzo sarà usato per tagliare le tariffe (l’ipotesi è una riduzione del 5%, ma potrebbe essere di più se i 400 milioni aggiuntivi fossero tutti dedicati a questa voce), 700 milioni serviranno ad accelerare le manutenzioni stradali e 800 milioni andranno come “compensazioni” ai genovesi. Una cifra che comprende anche i soldi della ricostruzione del ponte. Ci sono, si diceva, altri 400 milioni la cui spesa sarà decisa, se l’accordo verrà siglato, direttamente dal governo. Anche sulle tariffe Autostrade fa un passo decisivo accettando il nuovo meccanismo di calcolo dell’Autorità dei trasporti. Non era per nulla scontato. Si tratta di un sistema che tutte le concessionarie hanno bollato come farraginoso e sul quale pendono diversi ricorsi. Ma cosa prevede questo nuovo sistema tariffario? In primo luogo che gli investimenti potranno essere ripagati dai pedaggi solo dopo che le opere saranno state realizzate. In secondo luogo il rendimento del capitale investito dalla società concessionaria, e dunque dai suoi soci, sarà remunerato ad un tasso del 7,09% e non dell’11% come oggi. Inoltre tutti i proventi derivanti dalle aree di servizio andranno strutturalmente a ridurre i pedaggi autostradali. L’unica cosa che Autostrade chiede al governo è che la «curva tariffaria» renda sostenibile il piano di investimenti da 14,5 miliardi della società. È un punto fondamentale. Anche per definire l’altra questione in gioco: la discesa di Atlantia nel capitale di Autostrade dall’attuale 88% sotto il 50% per far entrare investitori pubblici, a cominciare dalla Cassa depositi e Prestiti. Il tema non è affrontato nella lettera inviata a Palazzo Chigi, ma la trattativa va avanti su un tavolo parallelo. 

LA SECONDA PARTITA
La questione tariffe è centrale non solo per garantire i 14,5 miliardi di investimenti di Autostrade, ma anche per permettere l’ingresso di altri soci. Per la Cdp, così come per le Casse previdenziali o per Poste Vita (altri possibili nuovi azionisti), prima di poter mettere soldi raccolti dai piccoli risparmiatori o a garanzia delle future pensioni dei lavoratori nelle autostrade, è necessario sapere non solo se questo investimento è sostenibile, ma anche se è profittevole. Dunque il governo dovrà riuscire nel difficile equilibrio di poter “comunicare” una riduzione delle tariffe, garantendo però un guadagno ai vecchi e nuovi soci. Come farà? I pedaggi potrebbero essere ridotti nei primi anni della nuova concessione per poi riprendere ad aumentare. Oppure la concessione potrebbe essere allungata oltre il 2038. Sarà tema delle prossime trattative se il governo rinuncerà alla revoca. Se questi nodi saranno sciolti, la Cdp e gli altri soci potranno entrare attraverso un aumento di capitale di Autostrade. Nella lettera inviata al governo, la stessa Autostrade si è detta disponibile a chiedere ad Atlantia un aumento di capitale che porterebbe precludere all’ingresso dei nuovi soci. L’altro importante nodo da sciogliere nella trattativa tra governo e autostrade riguarda l’articolo 35 del decreto milleproroghe.

Quello che riduce da 23 a 7 miliardi l’indennizzo alla società in caso di revoca. Revoca che, dice il decreto, può avvenire in caso di «grave inadempimento». Proprio per questa dizione molto generica, le banche hanno chiuso tutti i rubinetti ad Autostrade che, ormai, non è più in grado di finanziarsi. E anche qui, la società si è resa disponibile ad accettare l’impostazione “suggerita” dal governo. Il «grave inadempimento» sarà considerata ogni gravissima interruzione non recuperabile di un nodo fondamentale della rete e sarà valutato da una Commissione. Basterà? La palla ora è nelle mani del governo, che entro martedì deciderà se le condizioni della resa sono sufficienti a firmare l’armistizio e fermare la revoca.

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