Strappo Ue, Renzi sbatte la porta: «Ora basta con l'austerity»

Renzi
di Alberto Gentili
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Sabato 17 Settembre 2016, 08:09
Il vertice di Bratislava, meglio il suo epilogo, segna una nuova svolta nella politica europea di Matteo Renzi. A meno di tre mesi dall'ingresso nel direttorio con Angela Merkel e François Hollande, frutto dello psicodramma seguito alla Brexit, il premier italiano se ne allontana. Sbatte la porta. Non si sa se definitivamente. Probabilmente ne resterà distante fino alla celebrazione del referendum costituzionale di fine novembre: le linee euro-critiche hanno dimostrato di aver un discreto ritorno elettorale.

Si vedrà. Di sicuro, al momento, c'è che dopo le numerose promesse sussurrate a metà agosto a Ventotene, né il presidente francese, né la cancelliera tedesca a Bratislava hanno offerto sponde «vere e convinte» a Renzi per una nuova politica economica che il prossimo anno archivi il fiscal compact e l'austerity. Il premier italiano non ha ricevuto neppure l'atteso aiuto sul fronte dell'immigrazione.

Tanto che Renzi, a sera, ha scandito: «Se l'Europa non fa accordi con i Paesi africani ce li faremo da soli. Ma di sicuro non può continuare che l'unica cosa che fa la guardia costiera europea è scaricarci i migranti in Sicilia».
«Matteo», racconta uno sherpa che ha seguito Renzi durante il vertice, «si è arrabbiato perché da Merkel e Hollande non è arrivata l'attesa e promessa spinta per affermare una vera e forte politica a favore della crescita. E si è sentito tradito per il mancato sostegno ai Paesi, come l'Italia, in prima linea sul fronte dell'immigrazione».

LA TRATTATIVA CON BRUXELLES
Eppure, a conti fatti, la trasferta di Bratislava non è andata poi così male. Anzi. Durante un faccia a faccia con Jean-Claude Juncker, a metà mattina, il premier italiano aveva infatti ottenuto l'impegno del presidente della Commissione a concedere all'Italia un'altra fetta di flessibilità: circa 10 miliardi con cui aiutare i pensionati più poveri e ridurre il cuneo fiscale, facendo passare il rapporto deficit-Pil dall'1,8% già concordato, al 2,4%. «Ma siamo stanchi delle mancette e di aiutini ottenuti con Bruxelles che chiude un occhio», dice un altro sherpa delle delegazione italiana. «Tanto più che ogni volta, per ottenere flessibilità, è come scalare una montagna a piedi nudi. C'è la clausola dell'una tantum da aggirare, ci sono gli eventi eccezionali previsti dal fiscal compact da dimostrare.... Una via crucis».

«NUOVO PATTO POLITICO»
Ebbene, il premier italiano chiede invece ai partner europei di «voltare pagina». Chiede all'Unione «una svolta definitiva» e «irreversibile» a favore della crescita. E punta ad ottenerla non tra qualche anno, ma in sei mesi: «Non possiamo arrivare al 25 marzo, quando a Roma celebreremo i trattati che hanno dato vita all'Unione, in questa situazione. Serve un nuovo patto politico per rilanciare l'Unione dopo l'uscita della Gran Bretagna». Chiaro il modello da seguire: «Voglio portare in Europa i valori della crescita che hanno segnato il successo della politica economica americana». E confida: «E' vero, con Juncker ho parlato dello 0,1-0,2 di flessibilità. Ma queste cose non mi interessano. L'Europa è l'area economica che cresce di meno nel mondo. E ci sarà una ragione! Ebbene, questa ragione è il fiscal compact, è l'austerity».

Quell'austerity e quel trattato su cui a Bratislava né Hollande, né tantomeno la Merkel hanno voluto avviare una discussione. E che invece, da qui a marzo, diventerà il bersaglio di Renzi: «Dobbiamo stimolare l'economia, favorire la crescita, affermare una nuova politica economica. E io dico che nel 2017 si deve aprire una seria riflessione sul fiscal compact. Tanto più che lo stesso trattato il prossimo anno va a scadenza e dunque va ridiscusso...».

Per questo il premier, a fine giornata, parla di «passettini», della «montagna che partorisce il topolino». Di vertice «insoddisfacente». Parole scandite proprio mentre negli stessi minuti, in una conferenza stampa congiunta, Merkel e Hollande celebravano il successo del summit. Una linea utile a Renzi in vista del referendum costituzionale. Perché, orfano di un pezzo della sinistra, il premier punta a conquistare alla causa della riforma Boschi almeno una parte dell'elettorato moderato e di destra. E in questa ottica, è decisamente utile anche l'offensiva sul fronte dei migranti.
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