Pensioni, l’uscita bloccata a 67 anni resta fino al 2022

Pensioni, l’uscita bloccata a 67 anni resta fino al 2022
di Luca Cifoni
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Mercoledì 29 Agosto 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 20:23

Requisiti per la pensione fermi fino al 2022 dopo il gradino di cinque mesi che scatterà dal prossimo gennaio, portando l’età per la vecchiaia a 67 anni. Poi negli anni seguenti accelerazione del meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita con tappa a 68 anni (sempre per la vecchiaia) già dal 2029 e crescita fino ai 70 anni e 8 mesi nel lontanissimo 2065. Mentre si attendono a partire dalla prossima legge di Bilancio le mosse della maggioranza giallo-verde anche in campo previdenziale, la Ragioneria generale dello Stato ha aggiornato al 2018 il suo rapporto sulle tendenze del sistema pensionistico, disegnando lo scenario con cui il legislatore si dovrà confrontare: sia dal punto di vista della spesa e della sua sostenibilità per lo Stato, sia da quello delle regole che disciplinano l’uscita dal mondo del lavoro.
 


LEGAME AUTOMATICO
I due aspetti sono in realtà connessi, perché il nostro sistema pensionistico dopo le riforme degli scorsi anni è collegato in modo pressoché automatico alla dinamica demografica e quindi all’allungamento della vita media; sia per quanto riguarda i requisiti per l’accesso alla pensione, sia per l’importo dell’assegno, che si riduce gradualmente in corrispondenza con l’aumento del periodo in cui prevedibilmente se ne fruirà. A questo proposito la Ragioneria mette in guardia sugli effetti negativi di eventuali «interventi legislativi diretti a limitare, differire o dilazionare gli adeguamenti automatici previsti dalla normativa vigente».

Il risultato sarebbe «un sostanziale indebolimento della complessiva strumentazione del sistema pensionistico italiano, con conseguente peggioramento della valutazione del rischio Paese nei termini sopra indicati». La discussione sul punto era stata particolarmente animata lo scorso anno, con la richiesta da parte dei sindacati all’allora governo di centro-sinistra di rivedere l’automatismo. Alla fine la soluzione trovata prevedeva il blocco temporaneo dell’aumento dei requisiti solo per alcune limitate categorie di lavoratori impegnati in mansioni faticose: per la grande maggioranza resta dal prossimo anno lo scatto di cinque mesi.

Con il rapporto aggiornato, la Rgs recepisce però il nuovo scenario demografico reso noto dall’Istat la scorsa primavera e ne simula gli effetti per i successivi aggiornamenti, che per legge hanno cadenza biennale. In base a queste stime (come anticipato dal Messaggero dello scorso 18 maggio) nel 2021 non scatterebbe - per la prima volta - alcun adeguamento e dunque l’età della vecchiaia resterebbe a 67 anni mentre il requisito per la pensione di anzianità sarebbe confermato a 43 anni e 3 mesi per gli uomini (uno in meno per le donne). Ma il rallentamento dell’aspettativa di vita è solo temporaneo: gli adeguamenti riprenderebbero ad un ritmo più deciso dal 2023 e nel 2029 il requisito per la vecchiaia raggiungerebbe i 68 anni, con due di anticipo rispetto alla tabella di marcia basata sulle precedenti previsioni demografiche Istat. Va ricordato naturalmente che i requisiti effettivi saranno determinati solo a consuntivo, quando l’istituto di statistica diffonderà i dati reali sull’andamento della speranza di vita.

LA DISCESA
Per quanto riguarda la spesa pensionistica, la Ragioneria senza distaccarsi molto dalle precedenti indicazioni la colloca al 15,1% del Pil tra il 2019 e il 2021 e poi in graduale salita fino al 16,2% del 2044.
Dovrebbe poi iniziare la discesa legata alla scomparsa delle generazioni del baby boom. Il rapporto contiene anche le previsioni di spesa elaborate a livello europeo, più elevate fino a circa due punti (rispetto al Pil)a causa di previsioni economiche meno favorevoli.

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