Pensioni, rivalutazione piena dal 2019

Pensioni, rivalutazione piena dal 2019
di Luca Cifoni
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Domenica 16 Luglio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 17 Luglio, 08:00

Negli ultimi due anni, il tema non è stato di grande attualità: con l’inflazione pari a zero (o anche leggermente negativa) l’importo delle pensioni resta comunque inchiodato a quello pagato in precedenza e non ha grande importanza sapere quale sia il meccanismo per adeguarle all’andamento del costo della vita. Ma per il 2017 il governo prevede che l’indice dei prezzi al consumo per la famiglie di operai e impiegati (Foi, quello usato per calcolare la perequazione delle pensioni) torni positivo, all’1,2 per cento. Dunque dal prossimo mese di gennaio le rate di pensione avranno di nuovo un incremento. Lo schema applicato sarà quello introdotto nel 2013 dal governo Letta, che prevede un’indicizzazione parziale.

Poi dal 2019 si dovrebbe tornare ad un sistema più generoso, che assicura un buon recupero dell’inflazione - pur se non proprio totale - anche agli assegni di importo medio e medio-alto. L’impegno del governo ad andare in questa direzione è contenuto nel verbale sottoscritto con i sindacati lo scorso 28 settembre; se ne è riparlato nella nuova tornata di incontri (la cosiddetta “fase due”) avviati all’inizio del mese. Ma in vista dell’autunno il tema della perequazione delle pensioni sarà di attualità anche per la nuova udienza della Corte costituzionale in calendario il 24 ottobre.

IL PRESSING
I sindacati chiedono che sia formalizzato nella prossima manovra di bilancio il ritorno al meccanismo introdotto dalla legge 388 del 2000 ma poi poco utilizzato, perché i vari governi per le esigenze di finanza pubblica hanno di volta in volta applicato ulteriori decurtazioni più o meno pesanti. La differenza con quello attualmente in vigore è piuttosto rilevante. È vero che entrambi prevedono percentuali decrescenti di indicizzazione al di sopra della cifra che corrisponde a tre volte il minimo Inps (circa 1.500 euro lordi al mese): ma con lo schema cosiddetto “Letta” - che comunque rappresenta un progresso rispetto al taglio drastico applicato dal governo Monti e poi bocciato dalla Consulta - il decalage delle percentuali è più ripido, fino al 45 per cento, e soprattutto il taglio viene applicato sull’intero importo della pensione, per fasce di reddito. Invece in base alla legge del 2000 l’adeguamento è comunque pieno per tutti per la parte di pensione che non supera i tetti e la perequazione parziale scatta solo sugli scaglioni superiori: più precisamente si parla del 100 per cento fino a 3 volte il minimo, del 90 tra 3 e 5 volte e del 75 per cento oltre le cinque volte.

Così, ad esempio, per una pensione mensile di 2.200 euro lordi l’incremento mensile sempre in termini lordi - ipotizzando un tasso di inflazione all’1,5 per cento - sarebbe di 25 euro nel primo caso e di 32 nel secondo. La differenza è ancora più evidente per importi un po’ più alti. Al tavolo tra governo e sindacati il tema perequazione sarà affrontato anche sotto un altro profilo: si valuterà la possibilità di adottare un indice dei prezzi dei prezzi più vicino ai consumi effettivi dei pensionati.

Intanto però molti tra coloro che nel 2012 e nel 2013 la rivalutazione non l’hanno avuta per niente a causa del drastico taglio deciso dal governo Monti (in una situazione di emergenza finanziaria) guardano alla Corte costituzionale che due anni fa aveva dichiarato illegittimo quell’intervento: ora i giudici dovranno decidere se la parziale restituzione attuata dall’esecutivo Renzi rispetta a sua volta i criteri indicati nella sentenza. In ballo per lo Stato ci sono molti miliardi. 

IL NUOVO RICORSO
«La Corte è chiamata a giudicare nuovamente l’operato del legislatore, colpevole di aver drasticamente cancellato per decreto il diritto di circa sei milioni di pensionati di vedersi rivalutata la pensione» ricorda l’avvocato Riccardo Troiano, partner dello Studio Orrick, che aveva promosso il ricorso per conto dei sindacati nazionali Federmanager e Manageritalia. Secondo Troiano «la maldestra operazione non è riuscita del tutto, dato che il tribunale di Palermo per primo ha nuovamente sollevato la questione di incostituzionalità, rilevando come la rivalutazione disposta fosse talmente modesta da indurre a ritenere anche la nuova normativa in contrasto con la Costituzione».
 

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