I dati di R&S Mediobanca, basati sui bilanci aziendali e presentati in concomitanza con l’avvio della settimana della moda donna a Milano, dicono dunque che a fine 2015 Armani presentava un’incidenza monstre della liquidità sui debiti (oltre il 509mila per cento). Ma quasi tutti mostrano parametri irraggiungibili da altri gruppi industriali italiani: Max Mara ha un’incidenza di liquidità sui debiti del 785%, seguita da Geox (452%), Tod’s (260%), Otb (l’universo Diesel fondato da Renzo Rosso) al 205% e D&G al 180%.
Anche depurando il capitale netto dagli attivi immateriali (costituiti per quasi la metà dal valore dei marchi), la solidità dei primi 15 gruppi della moda italiani appare superiore alla media delle aziende del settore (38,3% di debito sul patrimonio rispetto al 56,7% del comparto) ed enormemente migliore delle aziende italiane nel complesso. Su tutte si distinguono ancora Armani, Otb (6,5%) e Max Mara (8,1%). «Più fragil appaiono Moncler e Luxottica, le uniche con debiti finanziari superiori al patrimonio netto tangibile, rispettivamente di circa 5 e 2 volte».
Dopo l’operazione Luxottica-Essilor è possibile che tra Italia e Francia il consolidamento prosegua? «Tutto può essere, anche se ci sono grandi differenze di scala», avvertono gli analisti dell’ufficio studi di Piazzetta Cuccia durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto. Un rapporto he mette in evidenza anche molto altro. Per esempio che Lvmh da sola fattura 35 miliardi all’anno, seguita da Kering con 11,5, Essilor con 6,7 e Chanel con 5,7. Il gruppo di gran lunga più grande tra gli italiani è Luxottica (8,8 miliardi, ma appunto in fase di fusione con Essilor), seguita a grande distanza da Prada (3,5 miliardi di fatturato 2015), Armani (2,6), Calzedonia (2) e Otb (1,5 miliardi).
Allargando lo sguardo fuori dall'Europa si scopre che il giro d'affari mondiale della moda (beni di lusso per la persona) è ancora in crescita (+12% nel 2015, l'ultimo anno per il quale si hanno a disposizione gli ultimi dati omogenei), attestandosi a 251 miliardi di euro. Una fotografia chiara di come le Americhe che hanno tolto all'Europa il titolo di principale mercato mondiale. In questo quadro, le performance delle aziende italiane
risultano migliori rispetto alla grande manifattura.
I gruppi made in Italy crescono dunque per ricavi (+9% sul 2014 e +28% sul 2011), ed è buona la solidità finanziaria (debiti pari al 31,8% dei mezzi propri). Quanto alla redditività operativa (9%), pur rimanendo positiva, è in leggera contrazione. Secondo lo stesso rapporto, basato sui principali 140 gruppi moda in Italia dal 2011 ai primi nove mesi 2016 e con un focus sui 15 maggiori, la pelletteria è non solo il comparto con il peso maggiore (73 miliardi di ricavi), ma anche il più dinamico (+15%). Seguono l'abbigliamento (60 miliardi), la gioielleria e orologeria (58) e la cosmesi-profumeria (50 miliardi).
Buone notizie sul fronte dell'occupazione. Nel periodo tra il 2011 e il 2015 la forza lavoro, su un campione di 140 aziende, l'occupazione è aumentata del 21,2%, coinvolgendo oltre 57mila nuovi dipendenti, per un totale di che nel 2015 arriva a circa 328mila unità.Sono i big ad assumere di più (+30,7%) pari a 43mila unità di cui l'80% da Luxottica (+14.539 unità) Calzedonia (+12.629), Prada (+4.347) e Armani (+2.736). In contrazione la sola Safilo (-10,7% equivalenti a 864 persone).
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