DAL CRAC DI SHANGAI ALL'FMI
Il taglio di valore dello yuan (o renminbi) era comunque atteso, dopo la tempesta della borsa di Shangai che tra fine giugno e i primi di luglio, ha bruciato il 32% del suo valore (2.525 miliardi di euro), facendo tremare le economie mondiali. L'Europa, da mesi alle prese con il crac della Grecia, si è risvegliata di fronte a un incendio che ha mandato in fumo 11 volte il valore del Pil di Atene e quasi sette volte il suo debito pubblico. A seguire con una attenzione e apprensione le dinamiche della Cina è sicuramente Angela Merkel, visto che la sua Germania è la prima esportatrice verso il Dragone e anche il principale paese avanzato ad avere una bilancia commerciale attiva con Pechino. Per contrastare il rallentamento della crescita dell'economia del paese orientale (il pil è sceso dal 7,3 al 7% nei primi due trimestri del 2015), si è scelta la strada bellica: l'atomica delle valute. C'è un precedente, in miniatura, che potrebbe, però, rendere l'idea: il 12 gennaio scorso la Svizzera ha sganciato il franco dall'euro. Una mossa che ha suscitato panico sui mercati. L'euro si è svalutato in modo significativo, perdendo il 32%. Poi la situazione si è normalizzata.
La reazione a caldo del deprezzamento del renminbi è stata contraddittoria da parte delle grandi imprese: Apple ha perso il 5% a Wall Strett perchè, con la riduzione del valore cinese, avrebbero la strada spianata i produttori hi tech cinesi. Gm, invece, si è affrettata a precisare: nessuna ripercussione sulle vendite di auto. Nonostante l'indifferenza mostrata dal colosso Usa, però, ci saranno certamente reazioni negative in America dove il corso dello yuan è sempre stato guardato con diffidenza. A fine maggio Fmi si era opposto all'inserimento della valuta cinese tra le monete di riserva, per la manipolazione politica della sua parità. La decisione di Washington è stata determinata dal fatto che lo yuan, dopo il sensibile apprezzamento in termini reali dell'ultimo anno, non risultava più sottovalutato. La posizione patrimoniale sull'estero della Cina risultava ancora troppo forte rispetto ai fondamentali, pertanto il Fmi auspicava che le Autorità cinesi proseguissero con le riforme necessarie a portarla più in linea con l'equilibrio di lungo periodo e a ridurre l'eccesso di risparmio. A questo punto la Fed potrebbe rinviare le decisioni sul rialzo dei tassi.