Martina Semenzato, presidente della Commissione parlamentare sul femminicidio: ​«Ora nuovi linguaggi contro la violenza»

Martina Semenzato, presidente della Commissione parlamentare sul femminicidio: «Ora nuovi linguaggi contro la violenza»
di Valentina Venturi
4 Minuti di Lettura
Venerdì 15 Dicembre 2023, 21:27

«Dobbiamo parlare di violenza di genere sempre e lo dobbiamo fare attraverso nuovi linguaggi. Voglio portare la Commissione fuori dal Palazzo e coinvolgere la società civile». Martina Semenzato, 50 anni, dallo scorso luglio è presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. L’onorevole di “Coraggio Italia” ha un passato da imprenditrice: è stata presidente della vetreria Salviati di Murano e past-president della sezione vetro della Confindustria di Venezia-Rovigo («la prima dopo 40 anni di soli uomini»). E ora vive in modo totalizzante l’impegno politico. 

Che cosa ha capito da presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio? 
«Ringrazio i miei 23 anni di lavoro nel mondo imprenditoriale, perché mi hanno dato senso pratico e una grandissima predisposizione all’ascolto. Da questa legislatura la Commissione è bicamerale, Camera e Senato dialogano e ci sono 36 commissari di cui 32 donne: è robusta nei modi, nei tempi e nell’organizzazione. L’obiettivo che ho indicato dall’inizio è di lavorare in maniera corale e infatti dalla Commissione è stato fatto un grande lavoro per arrivare all’unanimità del disegno di legge Roccella-Piantedosi-Nordio per il contrasto alla violenza di genere contro le donne e alla violenza domestica. Bisogna scollinare e parlare di donne, di violenza di genere e di femminicidio sempre e non solamente in occasione del 25 novembre o dell’8 marzo».

La violenza economica è legata al gender gap? 
«Il 62% delle donne che sono all’interno dei centri anti violenza non sono indipendenti economicamente, non hanno un lavoro, lo hanno perso o sono state spinte a perderlo, non hanno pensione, non hanno redditi. È un numero elevatissimo. Ho deciso di scavare questo tema che oggi è finalmente attuale: si pubblicano dei rapporti sulla violenza economica, sul fatto che una donna su tre non abbia un conto corrente, sui numeri del disagio economico delle donne nei centri antiviolenza. Questo tema rientra in una riflessione più ampia sul lavoro femminile, gender gap e occupazione». 

Come nasce l’idea degli appuntamenti sui “Nuovi linguaggi contro la violenza di genere”? 
«Mi sono ripromessa di portare questa Commissione fuori da Palazzo e per farlo ho dato vita ai “Taccuini”: appuntamenti bimestrali che coinvolgono la società civile, per continuare, in maniera costante e in parallelo al lavoro istituzionale, alla sensibilizzazione attraverso nuovi linguaggi. Un esempio recente è stato l’appuntamento “Io ci metto la faccia, non le mani”, organizzato con la Nazionale Italiana Calcio Olimpionici e Campioni dello Sport e il Gruppo Sportivo Fiamme Gialle». 

Si supererà il divario di genere? 
«È evidente come esista ancora il gender gap e il gender pay gap, il divario retributivo di genere. Però dico sempre di fare attenzione: non dobbiamo né rincorrere né emulare o andare in contrapposizione agli uomini. Dobbiamo però avere le stesse opportunità, poter correre la maratona con le stesse possibilità e noi dobbiamo lavorare perché questo avvenga. È evidente che per la donna ci siano ovviamente delle difficoltà dettate dalla conciliazione tra vita personale, lavorativa e familiare». 

Come ci si può arrivare? 
«Ad esempio facendo entrare e rientrare nel mercato del lavoro la donna alle sue condizioni, senza che debba subire un declassamento o sia frenata la sua carriera. Ma questo non vuol dire dover emulare o replicare i modelli maschili: dobbiamo portare la nostra unicità, la trasversalità di competenze, la nostra visione eterogenea». 

Onorevole, la morte di Giulia ha imposto a tutti una riflessione sui femminicidi. Secondo lei, cosa si può fare? Il Codice Rosso deve essere implementato? 
«Le rispondo così: le leggi ci sono, le pene ci sono. Eppure ogni volta che parliamo di pene siamo già sconfitte perché nel peggiore dei casi una donna è stata uccisa o è stata vittima di violenza o è stata stuprata. Aumentare la pena vuol dire lavorare sempre sulla parte finale, invece dobbiamo necessariamente agire su prevenzione e cultura, in primis la cultura del rispetto che riguarda tutta la società civile».

Lei è cresciuta in una famiglia patriarcale? 
«A casa le regole le ha sempre indicate mia madre, senza togliere nulla a mio padre. E oggi grazie a questa Commissione ho capito il valore delle sue parole: mi ha sempre detto di essere una donna indipendente e di non rimanere legata a nessun vincolo. Oggi più che mai comprendo cosa volesse dirmi». 

Ha dei riferimenti culturali? 
«Ho due titoli: Elogio dell’imperfezione di Rita Levi-Montalcini e Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci con cui sono cresciuta. Sono sempre lì sul mio comodino e hanno fortemente tracciato il mio percorso». 

Cosa consiglierebbe alle giovani d’oggi?
«Di investire su sé stesse e sulla propria autonomia mentale ed economica, mentre alle ragazze e alle donne in difficoltà dico che il primo passo è la denuncia, nel senso letterale del termine: denunciare vuol dire mettere in luce, parlarne con l’amica, con la famiglia, con l’allenatore sportivo, con l’insegnante». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA