“Due”, passioni e tradimenti: l'amore coniugale secondo Irène Némirovsky

Irène Némirovsky
di Annabella d'Avino
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Giovedì 13 Maggio 2010, 22:48 - Ultimo aggiornamento: 12 Giugno, 23:56
SI baciavano. Erano giovani. Gli incipit di Irne Nmirovsky sono perfetti nel creare subito l’atmosfera del romanzo. L’ultimo uscito da Adelphi (che sta ripubblicando la sua opera per troppi anni dimenticata) Due, bellissimo titolo per un racconto sull’universo amoroso (237 pagine, 18,50 euro, traduzione di Laura Frausin Guarino). Anche questo libro conferma la grandezza dell’autrice che scrisse fino all’ultimo della sua breve vita, nascosta nella campagna francese, lei ebrea ucraina non difesa dalla sua patria di elezione, prima di essere arrestata e morire ad Auschwitz nel 1942, a trentanove anni. E’ stato proprio Suite francese, capolavoro finale, ritrovato nel 2004, a farla riscoprire.



Il primo capitolo di Due ha un moderno taglio cinematografico. Un albergo fuori Parigi dove cenano cinque giovani: abiti da sera, braccia nude; volti segnati dallo champagne, dalla sensualità; dialoghi dolci, carezze ansimanti, baci smaniosi. Ogni particolare tesse quel desiderio che si brucia in attimi di piacere, che è ancora un gioco, solo un presentimento dell’amore.



La Grande Guerra è finita e se ne parla appena, come rimangono ignorati eventi politici o sociali nella narrazione tutta “in interni”: amorosi, passionali, amicali, familiari. Scavati con la scrittura caratteristica di Némirovsky: raffinata, tagliente, distaccata ed empatica nello stesso tempo. I fratelli Antoine e Gilbert appartengono a una «antica e facoltosa stirpe borghese». Il primo, tornato dal fronte, si abbandona ai divertimenti e ha un’amante più vecchia. Il secondo è innamorato della bella Solange che invece ama il ricchissimo Dominique. Marianne, infatuata di Antoine, ha un padre artista, una madre ereditiera e nella sua famiglia ebrea si respira un’aria «fervida, cinica, un po’ folle». Le ragazze sono avide di libertà, ribelli, ma ancora ingabbiate nel sogno dell’amore assoluto con matrimonio e figli.



Il caso, a volte drammatico, intreccia le coppie. Antoine e Marianne si sposano e diventano i protagonisti della vicenda intorno a cui si agitano altri destini. Nel loro legame (fino ai primi anni ’30), e attraverso i pensieri e le domande che affollano le menti, l’autrice seziona con profonda sensibilità le tante sfumature psicologiche ed emotive del rapporto coniugale: amore, desiderio, estraneità, crudeltà, egoismo, complicità, sofferenza.



Marianne è la prima a capire di essere diventata vulnerabile, «esposta ormai a tutti i possibili tormenti». Antoine è il primo a tradirla, trascinato in una passione senza rimorso per la giovane cognata. Anche la moglie avrà un amante. Ma gli adulteri non distruggono il rapporto e la tragedia di un suicidio non devasta la coscienza del colpevole. La vita li trascina con il suo corso implacabile: lavoro e problemi economici per lui, i figli che crescono per lei.



E la giovinezza sfiorisce perché quei domani di felicità continuamente attesi continuamente deludono. «Quando si cessava di tormentarsi l’un l’altro per volersi finalmente bene?» si chiede uno dei protagonisti. Il finale porterà la risposta quando, nel momento più difficile e negativo, Marianne e Antoine comprendono che «uniti erano invincibili, separati erano i più deboli degli esseri umani».



Pur preciso nella lucida caratterizzazione di un mondo borghese con i suoi valori e i suoi limiti, il racconto ha un coinvolgente fascino atemporale nell’analisi - dolorosa e disincantata - dell’«ebbrezza triste e folle dell’amore» che si trasforma nella sconfitta-vittoria di un’unione coniugale «conquistata a fatica, accumulata lentamente, distillata come miele».
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