Lampi
di Riccardo De Palo

Il tango secondo Borges: un pensiero (audace) che si balla

Il tango secondo Jack Vettriano
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Sabato 11 Maggio 2019, 19:44
Jorge Luis Borges non amava il tango moderno, il «pensiero triste che si balla» - secondo la celebre definizione di Enrique Santos Discépolo - che ha fatto la fortuna dell'Argentina nel mondo. Lo scrittore di Finzioni preferiva il tango delle origini, quell'arte sbocciata nella Buenos Aires del 1880, tra le case basse e i postriboli del barrio sur, i tram trainati da cavalli, i terreni incolti e i pantani; ed è qui, tra compadritos e ragazze di vita, guappi dal coltello facile e improvvise sfide all'ultimo sangue, che Borges situa il vero tango: una danza diversa, che «dava agli argentini la certezza di essere stati valorosi, di avere già adempiuto ai loro obblighi di coraggio e di onore».

Nel 1965 lo scrittore partecipò a una serie di conferenze sul tema, con tanto di intermezzi musicali, a carattere storico ed esplicativo; nel 2002 le registrazioni di quegli incontri capitarono tra le mani di un autore basco, Bernardo Atxaga, che le aveva avute da un produttore musicale vissuto in Argentina. Quelle audiocassette diventarono la base di un libro postumo - "Il tango", appunto - curato da Martín Hadis e (in Italia) da Tommaso Scarano. Il volume, appena pubblicato da Adelphi, svela un lato inedito dell'autore, che dimostra non solo di conoscere benissimo le fonti, ma anche di poterle interpolare con mille suggestioni letterarie. A un certo punto, Borges prova anche a cantare un brano dal Martín Fierro, per mostrare l'antica maniera criolla di cantare, scusandosi per le sue modeste capacità: «Bene, sono stato sufficientemente stonato, no?».

Il tango, racconta, si è sviluppato «negli stessi luoghi in cui sarebbe nato, pochi anni dopo, il jazz negli Stati Uniti». E cioè nelle "casas malas", nei postriboli del cosiddetto "quartiere tenebroso" di Baires, che erano anche dei luoghi d'incontro, frequentati dalla gente che voleva «giocare a carte, bere un bicchiere di birra, vedere gli amici». Quell'origine fu anche la sua condanna; perché, almeno all'inizio, la gente rifiutava quel ballo, di cui «conosceva l'origine indecente». I musicisti trovavano in questi locali pianoforti, violini, flauti; non c'era ancora il bandoneón, una specie di fisarmonica divenuta in seguito uno dei simboli di quest'arte.

Soltanto verso il 1910 (anno della cometa di Halley, sottolinea Borges, ma anche della nascita di Mark Twain), il tango inizia ad essere ballato a Parigi, e poi anche a Londra, Vienna, Berlino, San Pietroburgo. Una vera svolta per gli argentini, che avevano una percezione degli altri Paesi ma che non venivano granché percepiti dal resto del mondo. Nel tempo, questo ballo subì un'evoluzione. Borges non ama la definizione di Discépolo: non si può parlare di pensiero, ma piuttosto di emozione che si balla; e quanto all'aggettivo triste, «non si può certo attribuire ai primi tanghi».
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