Non voleva che la moglie soffrisse a causa delle malattie e per questo la colpì alla testa con una pesante statuetta in pietra. Era il 29 maggio del 2020 quando a Penne si verificò il fatto: ieri in Corte d'Assise a Chieti il processo a carico di Gino Mazzini, 81 anni da compiere, accusato di omicidio volontario aggravato nei confronti della coniuge, Maria Cretarola, si è praticamente svolto in una sola udienza e con un solo testimone.
La difesa, con l'avvocato Antonio Di Blasio, d'accordo il pm Gabriella De Lucia, ha chiesto di acquisire i verbali di sommarie informazioni resi durante le indagini, e le annotazioni di Pg: dunque niente testimoni da sentire in udienza, con la sola esclusione degli atti relativi alla consulenza tecnica d'ufficio. È stato dunque sentito lo psichiatra Maurizio Cupillari, che visitò Mazzini mentre questi era ricoverato nel servizio di Psichiatria dell'ospedale di Pescara, poco tempo dopo il fatto. Mazzini viveva in una situazione quasi simbiotica con la Cretarola (la sua seconda moglie) che aveva avuto una serie di malattie e che lui assisteva personalmente. Durante il Covid erano stati ricoverati entrambi per tre mesi all'ospedale di Penne. Poi qualcosa era scattato nella mente dell'anziano.
«Mi dichiarò chiaramente - ha detto ieri Cupillari in aula - che non tollerava che la moglie soffrisse a causa di queste malattie e per questo aveva compiuto il gesto di cui parliamo nell'attuale procedimento».
Da un precedente matrimonio l'uomo aveva avuto due figli, al momento di andare in pensione si era trasferito a Penne. La difesa ha sempre puntato sulla perizia psichiatrica ma soprattutto a dimostrare che le cause della morte della donna sono legate a patologie pregresse e non alle lesioni riportate nell'aggressione ad opera del marito. La Corte d'Assise, presidente Guido Campli, giudice a latere Maurizio Sacco, ieri ha dichiarato chiusa l'istruttoria ed ha fissato l'udienza per la discussione al prossimo 27 settembre.
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