STORIE AQUILANE/ Sulle tracce della civiltà Vestina

Un tholos
di Enrico Cavalli
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 1 Febbraio 2023, 16:18 - Ultimo aggiornamento: 4 Febbraio, 23:17

L'AQUILA Nella Valle dell’Aterno, la ricchezza di corsi acqua, facilitò lo stanziamento di genti Italiche che scalzarono gli Aborigeni.

Fra Fossa e la frazione aquilana di Bazzano, passando per San Demetrio Ne ’Vestini e Sant’Eusanio Forconese, compaiono genti nell’età bronzea e con credenze religiose come dai corredi di diversi tumuli, ivi, scoperti nel 1967 e nel 1992.

Intorno all’XI a.C., in zona, invero, si fanno largo da discendenza Sannita e contaminazioni Celtiche, Etrusche, Elleniste, i Vestini, prendenti il nome dalla divinità Italica di Vesta, dea del focolare o Vestico, per altri, invece, dalle voci celtiche Ves-acqua e Tin-paese.

Il Gran Sasso (Fiscellus Mons), divideva i Vestini in Transmontani (sul mare Adriatico) e Cismontani (zona interna), stando alla “Tavola Peutingeriana” del IV secolo a.C..

Tali genti, stavano in autonomi  villaggi dipendenti da formali autorità rurali, a loro volta, entro reggimenti repubblicani detti “toutas” (“del popolo”), come dall’iscrizione del guerriero di Capestrano rinvenuto nel 1932, e, vi si ritrovano componenti femminili importanti nelle comunità, essendo famose Pinna-Penne e Peltuinum-Prata D’Ansidonia per le “sacerdotesse” di Venere, il segno di una religiosità che innalzerà lapidi votive ad Ercole, Giunone, Mercurio, sebbene, prevalesse il culto per Silvano, nelle varie comunità del versante meridionale aquilano del Gran Sasso.

Dall’VIII secolo a.C., la fisionomia dell’area di nostro interesse è chiusa dal Monte di Manicola, dall’etimo latino di “moenia”, e, perciò luogo di muraglie in numero di trentasette, secondo le recenti acquisizioni archeologiche, a “tholoi”, a ridosso del Monte Cagno di Ocre e Monte Cerro di Casentino in Aveja-Fossa e che erano le costruzioni in pietra a secco e dalla falsa cupola tipiche delle civiltà mediterranee: la fortificazione più massiccia era quella di Separa, probabilmente, vicina al centro di Sinizzo, poi, scomparsa nel mistero a vantaggio di Peltuinum.

Tali baluardi della Valle dell’Aterno meridionale, catalizzarono la partecipazione alle tre guerre Sannitiche dal 343-290 a.C., dei Vestini che tuttavia si barcamenarono coi Romani, finché tutta la zona non verrà inglobata dal Pagus Frentanum, in attinenza significativa al culto di Bacco data la specializzazione vignicola dei medesimi Vestini che manterranno il conio della moneta “ves”.

Dopo l’assedio della legione romana guidata dal console Giunio Bruno Sceva nel 325 a.C., il Monte Manicola,  diverrà punto dello schieramento sud-est degli Italici sottesi ad ottenere la “civitas romana”, nella Guerra Sociale del 92-90 a.C., la conferma, dal rinvenimento di numerosi reperti di “proiettili” di piombo a losanga in zona.

Le armate vestine, sotto il marso Quinto Poppedio Silone, vengono battute dal console Gneo Pompeo Strabone, poi, nella "Lex Julia De Civitate", estesa a tutti gli Italici sfilacciatisi dalla coalizione dei Marsi, si inserirono gli stessi Vestini; per inciso, Aveja, successiva capitale della Cismontana, rimase neutrale rispetto a Roma e la “normalizzazione” passava per la introduzione in area dei culti capitolini e presenza di lapidi votive al “Sol Invictus”; si rafforzano cultualità per Silvano, Bacco, Giove Ercolino fervente nel Paganichese; di rilievo a Furconium, nei pressi di Civita di Bagno, le canalizzazioni e vasche idriche su vari livelli convergenti su di un edificio sacro, una sorta di tempio delle acque per una religiosità popolare legata all’agricoltura.

Nel 27 a.C., la Vestina sarà della IV Regio Augustea, poi, Dioclezianea, della Provincia Valeria, per una circoscrizione avente il “municipium” e prefettura di Aveja che trasalì di giurisdizione sulle “civitas” di Furconium e Peltuinum.

Aveja, per ricchezza agricola era snodo della transumanza che unisce la vallata dell’Aterno all’Altopiano delle Rocche, essendo patrono vestino, il patrizio amiternino Proculus, ma, questa polarità decade al IV secolo d.C., sia per lo spostamento verso la costa adriatica degli interessi imperiali, che per sismi e straripamenti-impaludamenti dell’Aterno.

Enrico Cavalli

© RIPRODUZIONE RISERVATA