Scherza col cuoco/ Totò: «Uno chef in famiglia fa sempre comodo»... soprattutto se “stellato”

William Zonfa
di Carlo Gizzi
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Domenica 6 Dicembre 2020, 15:20

L’AQUILA La professione del cuoco, grazie ad un efficientissimo sistema formativo offerto da Istituti statali e privati, ma anche grazie ad un innalzamento della qualità e della ricercatezza della ristorazione, si sta conquistando sempre più vasti spazi di credibilità e di prestigio, fino ad arrivare ai livelli di una star.

In Tv è quasi impossibile non imbattersi in un programma in cui ci sia qualcuno che, con indosso una “parnanza” o la classica giacca d’ordinanza, sia intento a spiegare come si fa l’amatriciana con l’aglio, o la gricia con la cipolla, acclamato da una folla plaudente e da un conduttore che assaggia estasiato, prima di augurare “buon appetito” ai telespettatori.

Chi, cuoco o chef o semplice appassionato di cucina, fa televisione è giusto che la faccia, perché dà visibilità al mondo della ristorazione. Però c’è il rovescio della medaglia: i giovani, affascinati dalle luci e dalle telecamere degli studi televisivi, potrebbero percepire il lavoro di cuoco in maniera sbagliata e cioè come un divertimento, come un mezzo per fare colpo, come una strada per assecondare la voglia di protagonismo. La realtà è diversa e per arrivare, in questo come in quasi tutti i mestieri, va fatta la gavetta, che è lunga e dura.

E’ bene sapere che quello del cuoco è un lavoro atipico e complesso: il muratore ci costruisce la casa, l’idraulico ci porta l’acqua, il contadino ci procura prodotti genuini, il bancario ci presta i soldi, il cuoco ci dà da mangiare: ossia, con le sue mani ci prepara il cibo che poi noi mettiamo dentro il nostro corpo e che, a sua volta, andrà ad alimentare il nostro apparato osseo, il nostro sangue, le nostre cellule, a dare energia ai neuroni che controllano il nostro pensiero. Se ci riflettiamo, il rapporto che si istaura tra una persona e il cuoco, è un legame fatto di totale fiducia e di soggezione psicologica: io mi fido ciecamente- e a volte sbaglio- di chi ha preparato per me questo cibo, come il lattante si affida al latte e alle cure della nutrice, svolgendo una funzione diversa da tutte le altre in quanto capace di influire positivamente, ma in alcuni casi anche negativamente, sulla qualità della nostra vita, accrescendone o diminuendone la possibilità di durata.

Quindi per essere un grande cuoco non è necessario stupire con effetti speciali.

Si può fare un piatto sano, gustoso e che fa bene al nostro corpo anche senza troppi fronzoli. Semplicemente.

LA RICETTA
Come è semplice la ricetta che segue suggerita all’autore dallo “stellato” William Zonfa: un simbolo della ristorazione di qualità aquilana, seguito da tanti altri giovanissimi cuochi che si stanno facendo strada. Per un risotto per 4 persone, William fa bollire per 35/40 minuti 200 gr di barbabietole fresche, dopodichè le pela e le taglia in piccoli dadi. In una padella con un filo d’olio, fa imbiondire uno scalogno tritato e poi aggiunge le barbabietole. Lascia insaporire con un mestolo di brodo e aggiunge una macinata di pepe misto e sale prima di frullare il tutto per ottenere una crema liscia e omogenea. In un altro pentolino fa sciogliere in una tazzina di latte 100 gr di blucoli (formaggio simile al gorgonzola, del caseificio Campo Felice). In un tegame largo e dai bordi alti lascia tostare a secco 320 gr di riso Carnaroli e aggiunge un po’ alla volta del brodo. A metà cottura aggiunge la crema di barbabietole e continua a cucinare con altro brodo. A cottura terminata, mànteca con dei dadini di burro e stende il riso su piatti piani e caldi, battendo, al di sotto di questi, con il palmo della mano. Termina con qualche cucchiaio di crema di blucoli e gocce di aceto balsamico tradizionale di Modena. Una vera chiccheria!


Carlo Gizzi
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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