Del Turco: «Le prove? Soltanto
fango, sparito il marchio d'infamia»

Del Turco: «Le prove? Soltanto fango, sparito il marchio d'infamia»
di Stefano Dascoli
3 Minuti di Lettura
Domenica 4 Dicembre 2016, 10:41
L'AQUILA - «La montagna di prove che doveva schiacciarmi si è dimostrata per quello che era: una montagna di fango». Così l'ex presidente della Regione, Ottaviano Del Turco, ha commentato il verdetto della Cassazione. «Quando sei sommerso da una montagna di fango ha argomentato Del Turco in una dichiarazione ufficiale - e riesci a non soffocare è quasi impossibile che non ti rimanga addosso qualche schizzo. Già la Corte d'appello mi aveva assolto da tutti i reati di abuso e di falso ideologico e da 18 delle 21 fantasiose dazioni di denaro che avrei ricevuto, delle quali non è mai stato trovato un solo euro. Ora si dissolve anche l'associazione per delinquere. Non trovo in questa vicenda nessun altro senso, se non la evidente necessità di dare una parvenza, seppure grottesca, di giustificazione alla infamia che ha travolto una giunta regionale e con essa la vita mia e di molti di noi».
L'ex presidente ha poi accettato di rispondere ad alcune domande del Messaggero.

Del Turco, quali sono le sue sensazioni alla luce di ciò che ha sancito la Consulta?
«Scompare una macchia drammatica dalla mia storia personale e politica. Non sono più il capo di un'associazione a delinquere. Non è una cosa di poco conto perché su questo è stata costruita un'infamia che ha segnato la mia vita negli ultimi anni. Adesso che l'infamia è scomparsa credo si possa ragionare sul resto e capire cosa c'era davvero dietro quella montagna schiacciante di prove. Ovvero una montagna schiacciante di fango. E' tutto ciò che ne è rimasto».

A mano a mano che la vicenda giudiziaria compie i suoi passi sembrano cadere pezzi di accuse. Che valutazione si sente di dare?
«Viene demolito un castello accusatorio nel quale io ero il capo di un'associazione a delinquere. Una sorta di marchio di fabbrica. Non sono mai stato il capo di un'associazione a delinquere, semmai il presidente di una giunta democraticamente eletta con una montagna schiacciante di voti abruzzesi, il 60 per cento del totale. Questo mi dava un'autorevolezza che mi consentiva di riformare il baraccone della sanità così come mi era stato lasciato. Questo i potenti abruzzesi non l'hanno mai digerito, chi aveva la proprietà di cliniche, giornali, tv. E' stato organizzato un massacro».

Dopo otto anni di una complessa vicenda giudiziaria ancora non si è in grado di scrivere la parola fine, inequivocabilmente. E' un cortocircuito del sistema?
«Non posso dire di essere un perseguitato speciale, sarebbe arrogante da parte mia e sbagliato. Altri italiani hanno ricevuto questo trattamento dalla giustizia. Adesso provo sulla mia pelle il sentimento che mi suscitava la lettura delle loro storie. Ma questa è una vicenda drammatica, anche per la storia della giustizia».

Cosa prova? Sollievo, amarezza, rabbia?
«Sono certamente sollevato, perché ho scampato un omicidio. Il fatto che fossi il capo di un'associazione a delinquere mi obbligava a trovare i soldi per pagare i soci. E' una cosa che mi fa schifo solo a pensarlo».

Cosa resta in piedi, a questo punto, delle accuse che le sono state mosse?
«L'autista di Angelini diventa improvvisamente il protagonista centrale di questa storia. E' una cosa che metterà un po' di euforia nella sua testa, ma chi lo conosce e chi sa chi è capirà che non c'entra assolutamente nulla nemmeno lui».

Servirà altro tempo prima di chiudere questa storia.
«Speriamo sia breve, in ogni caso mi sono addestrato per una lunga pazienza».

LO SCONTRO - Intanto sul verdetto della Cassazione è già bagarre. Ad accendere la miccia è il vice sindaco dell'Aquila, Nicola Trifuoggi, nel 2008 procuratore della Repubblica di Pescara: «Il passaggio di denaro c'è stato, e questo conferma la correttezza del processo. La verità dei fatti non è più in discussione». Stizzita la replica del legale di Del Turco, Giandomenico Caiazza: «L'ex procuratore di Pescara esulta. In fondo, lo apprezzo: sapersi accontentare di poco è una virtù. Residuano, galleggiando incomprensibilmente in quel mare di assurdità, tre dazioni di denaro che Del Turco avrebbe richiesto e ottenuto Dio solo sa perché. Trifuoggi ci si lancia sopra, brandendole per cantare vittoria. È il degno finale di questa tragica farsa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA