«Anche 007 è andato in pensione, la spia di oggi lavora su internet»

Roberto Gorelick: «Io cambiavo identità anche in aeroporto: entravo in bagno, mettevo parrucca e occhiali, lavoravo con travestimenti e documenti falsi. Oggi con il riconoscimento biometrico non è più possibile»

Robert Gorelick.«Anche 007 è andato in pensione, la spia di oggi lavora su internet»
di Patrizia Pennella
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Sabato 3 Giugno 2023, 10:35

Non chiamateli “barbe finte”: non si offendono, semplicemente non le usano più. Robert Gorelick, già capo della Cia in Italia e capo divisione dell’agenzia a Washington di nomi e di volti ne ha cambiati tanti: parla un italiano appena venato dall’imperdibile inflessione statunitense e guarda ancora il mondo con gli occhi di chi ne conosce i segreti. Arriva in Abruzzo per presentare il libro di Antonio Teti “Spycraft Revolution”, di cui ha curato la prefazione. Ed ha il compito di ricordare che lo 007 di Sean Connery non abita più qui.

«La tecnologia ha cambiato tutto - spiega subito Gorelick - oggi le spie devono essere persone reali, le coperture devono essere vere. Io cambiavo identità anche in aeroporto: entravo in bagno, mettevo parrucca e occhiali, lavoravo con travestimenti e documenti falsi. Oggi con il riconoscimento biometrico non è più possibile. Ai miei tempi bastavano l’indirizzo di una casella postale e un biglietto da visita per costruire un personaggio». Gorelick ha la visione di chi ha attraversato grandi cambiamenti, anche sociali: «Il terrorismo - sottolinea partendo dalle Torri gemelle - anche quello ha cambiato tutto. Oggi dobbiamo pensare alle grandi sfide geopolitiche del futuro, gli ufficiali che vengono reclutati devono poter lavorare per molto tempo».


Le attuali operazioni di intelligence sono di molto facilitate dalla globalizzazione e da internet: «Prima era molto più divertente, era una sfida continua, soprattutto per chi lavorava fuori dalle ambasciate. C’erano documenti da acquisire, sviluppare e far sparire. Ormai è tutto più facile, visto che tutto viene automaticamente criptato». Oggi a chi lavora nelle agenzie vengono chieste competenze diverse: a chi ancora pensa a personaggi con gli occhiali scuri, che circospetti si muovono nell’ombra, può apparire abbastanza singolare che, per proporsi, si possa utilizzare un portale. Esattamente come per qualsiasi altro lavoro. Il problema magari sono i passaggi successivi: su cento colloqui preliminari solamente uno ne vada poi a meta. «In passato il reclutamento avveniva guardando alle qualità acquisite nelle forze dell’ordine e nell’esercito - spiega Robert Gorelick -. Oggi c’è bisogno di figure diverse, che abbiano un’approfondita conoscenza delle tecnologie, di più lingue straniere e soprattutto dei territori in cui vanno ad operare. Il loro passato deve essere immacolato, libero da elementi che possano insospettire le persone con cui si viene in contatto. Perché è vero che oggi molte informazioni possono essere acquisite anche senza muoversi dall’ufficio, ma questo non esclude la necessità del lavoro tradizionale, del contatto con le fonti. Una volta acquisito un documento va inserito in un contesto: potrebbe essere un attacco militare approvato, non approvato o addirittura scritto da uno sfigato e rimasto lì. E al documento noi non possiamo fare domande. Il nostro compito è rubare segreti e piani di lavoro agli avversari. Con i server può essere anche molto più semplice, una volta trovato l’accesso è tutto lì, classificato. Ma quei dati vanno comunque contestualizzati».

Per Gorelick «governi e servizi devono lavorare molto di più con i privati e con le università: è lì che possono essere trovate le professionalità, i profili giusti per le attuali agenzie e non è possibile che lo Stato oggi non sviluppi la possibilità di queste collaborazioni. L’integrazione tra pubblico e privato nell’intelligence è ormai necessaria».

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