L'Aquila, Università al voto/Masciocchi: «Serve un tavolo con gli enti»

L'Aquila, Università al voto/Masciocchi: «Serve un tavolo con gli enti»
di Stefano Dascoli
4 Minuti di Lettura
Domenica 9 Giugno 2019, 11:06 - Ultimo aggiornamento: 11:07
L'AQUILA - Per Carlo Masciocchi l’Università è, e deve restare, il cuore della  vocazione culturale cittadina. Per questo ritiene fondamentale istituire un tavolo di concertazione permanente con le istituzioni locali.

LEGGI L'INTERVISTA ALLO SFIDANTE, EDOARDO ALESSE

Professor Masciocchi, che campagna elettorale è stata?
«Credo molto bella. Fra i due candidati c’è un’antica amicizia e quindi c’è un clima molto disteso, nel rispetto delle rispettive prerogative. Una campagna su temi tecnici, senza risvolti personali. Spero che venga colto anche all’esterno come un segnale molto costruttivo in epoca di grande caos».

Come nasce la sua candidatura?
«Sono nato in questo Ateneo. Ho fatto il concorso da ricercatore nel 1982, si figuri quanto sono vecchio. Poi ho fatto l’associato e l’ordinario. Il mio maestro, il prof Passariello, ha voluto che un aquilano restasse a qui a far crescere la Radiologia. Negli ultimi sei anni ho fatto il pro rettore vicario. La candidatura mi è sembrata un atto quasi doveroso».

Una scelta in continuità con la precedente amministrazione?
«Per il mio ruolo ho fatto personalmente parte della precedente amministrazione. Ma bisogna andare avanti. Oggi ci sono nuove esigenze e nuove opportunità. Si è fatto molto di positivo che verrà conservato e potenziato, in una normale evoluzione. E’ ovvio, poi, che in sistemi così complessi ci sono punti di criticità».

Quali sono queste criticità per l’Ateneo?
«Partiamo da un difetto: la scarsa attenzione alla comunicazione. Nel mio programma lo sviluppo di questo aspetto sarà essenziale. Oggi l’Ateneo è presente nello sviluppo locale in tutti gli ambiti, ma è poco messo in evidenza».

Il tema del numero degli iscritti è centrale?
«Abbiamo circa 19.500 studenti, un Ateneo di media grandezza. Non possiamo aspirare a diventare come Bologna. In realtà non abbiamo perso iscritti, siamo andati a correggere una forma di doping delle iscrizioni con l’esenzione delle tasse. Siamo arrivati a 25-26 mila iscritti, ma questo ci ha penalizzato: una parte né frequentava né concludeva gli studi. Una specie di parcheggio. Siamo usciti da una situazione perversa e grazie a questo possiamo offrire uno dei maggiori ventagli di formazione didattica: 550 docenti con 68 corsi di laurea. Tutto molto bilanciato».

Dove c’è da intervenire, allora?
«Per arrivare in alto dobbiamo migliorare in particolare l’efficienza del sistema: semplificazione burocratica, una organizzazione che valorizzi la ricerca migliorando la comunicazione interna, risolvere il problema dell’edilizia dopo il fallimento della ricostruzione pubblica. Dobbiamo diventare un Ateneo solido, non rigido, ma ben organizzato».

E’ il suo ambito: qual è lo stato dei rapporti tra Ateneo e Asl?
«All’inizio di questa governance ho avuto la delega alla Sanità. A quel tempo, nel 2013, avevamo una convenzione vecchia di 21 anni, la più antica d’Italia. Grazie a uno sforzo collettivo, fu attivata una commissione regionale che ha prodotto il nuovo protocollo, nel 2017. Oggi abbiamo uno dei protocolli di intesa più moderni ed aggiornati
 d’Italia. Questo, però, non è sufficiente. Il meccanismo della convenzione è vecchio: bisogna pensare alle aziende miste o agli Irccs. Strutture che fanno ricerca e didattica integrata con il sistema sanitario. Oggi siamo un po’ “ospiti” del sistema sanitario».

Sul diritto allo studio come può incidere l’Università?
«E’ un problema complesso, con norme rigorose imposte dal Ministero per la sostenibilità dei corsi. Il problema degli studenti ammissibili a un corso va affrontato per prima cosa con il tema della sicurezza. In un' aula da 120 posti posso ospitarne al massimo 120. Un ragionamento che qui all’Aquila è ancora più importante. La qualità della didattica, la compliance tra studenti e docenti, sono aspetti centrali. La nostra dimensione è questa anche se dobbiamo tendere ad aumentare il numero degli iscritti aprendo nuovi ragionamenti che considerino l'attivazione di nuovi corsi sempre più in linea con le esigenze di una società civile che cambia rapidamente. Sui numeri chiusi a programmazione nazionale non si può intervenire, perchè codificati per legge».

Che Ateneo immagina da qui a sei anni?
«Come un centro di alta formazione culturale fondata su didattica e ricerca di qualità. Il cuore della vocazione culturale cittadina. Immagino un’Università che si apra alla città, ma anche viceversa, una città che si renda conto del valore dell’Ateneo. Serve un tavolo di concertazione permanente con gli enti locali, questo è il vero salto di qualità».

IL PROFILO
Nato all'Aquila il 29 gennaio 1956, dal 2000 è professore ordinario. Dal 2013 ad oggi ha ricoperto la carica di pro rettore vicario e direttore della scuola di specializzazione in Radiodiagnostica dello stesso Ateneo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA