Il parrucchiere buono che amava il pettegolezzo

Il parrucchiere buono che amava il pettegolezzo
di Marida Lombardo Pijola
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Giovedì 9 Gennaio 2014, 08:28 - Ultimo aggiornamento: 08:51
Dicono che la vita di Daniele Fulli, nonostante certi passaggi stretti delle sue giornate, fluisse in un irragionevole ma imperturbabile ottimismo; in una rappresentazione di entusiasmi iperbolici, indistinti, generosi; in un sovrappiù continuo di chiacchiere e complimenti e premure ed allegria. Ciao sono Daniele, come ti chiami, le porto io la borsa della spesa, che bello il suo bambino, la messa in piega stavolta gliela faccio gratis...



Dicono che Daniele avesse un milione di sorrisi. Pazienza per i soldi che mancavano, pazienza per quella gente brutta che lo derideva. Sorriso tatuato sulle labbra, da bambino vecchio, da clown triste. Sorriso da coiffeur-prestigiatore porta a porta per capigliature di casalinghe disperate alla Magliana; sorriso da pastore di diritti civili, universali e periferici. Uno che predica e predica l’amore, uno che se l’amore è amore e basta, allora non ha genere; uno che non s’arrende, uno che sì, sono gay, e allora? Non mi vergogno e non ho niente da nascondere, dovrei?



IL SORRISO

Sorriso indelebile, perciò, come l’uomo che ride di Victor Hugo, deformato da una sofferenza interna, invisibile, profonda. Sorriso da apostolo naif, nel volto tondo e rubizzo dai tratti infantili, nello sguardo terso, scanzonato, disarmato, nella chiacchiera che sgorgava come un’alluvione. Daniele portava indosso i suoi novanta chili con la leggerezza di una ballerina, perché se l’amore è amore e basta, allora uno lo pesa sul cuore, non sulla bilancia. «Era semplice e buono, viveva serenamente e mostrava apertamente la sua omosessualità», racconta la sua amica Barbara. Daniele che s’allenava al coraggio per nasconderci dentro chissà cosa; Daniele che soffiava nel suo orgoglio per dissimularci dentro la paura. ”Bisogna reagire, Simone, bisogna non abbassare mai la testa, e dirgli quel meritano, altrimenti poi...”.



IL VOLO DI SIMONE

Altrimenti poi la cattiveria il pregiudizio l’idiozia... Altrimenti poi può accadere che Simone D., 22 anni, amore grande e compagno di Daniele, si lanci nel vuoto, per la stanchezza di subire vessazioni. Era ottobre. Volo di 20 metri dall’ex pastificio Pantanella. In quello schianto, comincia a morire un po’ pure Daniele. Si spegne, si isola, ritira il suo sorriso. Un anno d’amore ”complicato”, dicono gli amici. Amore speculare tra una malinconia spettrale e un’allegria senza freni inibitori, tra un’introversione e una socialità esuberante, tra un ammalato di sconfitte e un irriducibile, convulso lottatore.



SOLIDALE

Daniele 28 anni da Gesualdo, Avellino, ”città del Principe dei Musici” in onore dell’ultimo grande esponente della polifonia rinascimentale. Nato a Roma, però, ed ogni estate di ritorno lì, con papà e mamma Natalina, a ridere, a far pettegolezzi di paese, a dare una mano a questo e a quello, perché la vita è bella se è così. A Roma, volontario per il Gay Center, col cuore con la chiacchiera con l’empatia, a raccogliere la solitudine, la rabbia, il dolore, e tutto quello che assomigliava alla disperazione di Simone. Prendersi cura di chi soffriva come lui. Spiegargli, come un tempo a lui, che «non bisogna dargliela vinta, è un’ingiustizia». Avvertirli che forse bisognerà sprecare parole inutili; e forse bisognerà discutere, arrabbiarsi, come fa lui, sperando di non dover mettere addosso a nessuno quelle sue manone.

Fermarli un passo prima della scelta di Simone. E rilanciare quel testamento lasciato in una lettera: «Chi è omofobo, deve fare i conti con la sua coscienza. Vi chiedo scusa, ma sono stanco, non ce la faccio più». E poi finire anche lui, ma chissà come. Magari nel solco di quegli altri «35 omicidi di gay insoluti tra gli anni ’90 e i primi del 2000», contabilizza Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center. Il solito mistero. Il solito striscione sul luogo del delitto. Il solito interrogativo: ma com’è mai possibile che di omosessualità si muoia? Ma perché?

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