Andersen detective, la Sirenetta diventa un thriller: parla l'autore Thomas Rydahl

Thomas Rydhal
di Riccardo De Palo
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Giovedì 15 Ottobre 2020, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 12:12

“Morte di una sirena” è il primo romanzo di una serie crime ambientata nella Copenaghen d’inizio Ottocento, che ha come protagonista il celebre creatore di fiabe Hans Christian Andersen. Da oggi in libreria per Neri Pozza, questo giallo è opera di due (anzi, tre) autori danesi, Thomas Rydahl e A.J. Kazinski, pseudonimo di Anders Rønnow Klarlund e Jacob Weinrich. Il primo è noto per il romanzo pluripremiato “The Hermit” (l’eremita) ; mentre Klarlund e Weinrich hanno venduto (con libri come “L‘ultimo uomo buono” edito in Italia da Longanesi) 450.000 copie in Danimarca e sono stati pubblicati in 26 Paesi. Klarlund è anche un apprezzato sceneggiatore.

L’idea di affidare a un personaggio come Andersen il ruolo di investigatore può sembrare folle, ma “Morte di una sirena” è un potente thriller, con una meticolosa ricostruzione storica, e non potrà che piacere ai cultori del genere. Di recente, con il successo del crime, la proliferazione di investigatori ha creato un eccesso di offerta sul mercato; di qui la necessità di distinguersi, di creare opere originali. Così, capita di rivisitare i classici: in film recenti, sono stati ripresi personaggi delle fiabe come Biancaneve, o Hansel e Gretel, con risultati dignitosi; e spesso capita di assistere a spin-off di personaggi o autori del passato: nell’ultimo (anch’esso apprezzabile) spin-off, persino Sherlock Holmes è stato riesumato, per affidare a una sua altrettanto fittizia sorella (Enola, interpretata dalla Millie Bobby Brown di Stranger Things, bravissima nella parte) il ruolo di protagonista.

Per capire meglio l’operazione, già opzionata per una serie tv, abbiamo parlato con Thomas Rydhal, di passaggio in Italia per promuovere il suo romanzo, in corso di pubblicazione - dopo il successo danese - in quindici Paesi.

Come vi è venuta l’idea?

«Nel 1993 lavoravo in una pizzeria: ero molto giovane e la persona che mi era sta assegnata per assistermi nel mio compito era proprio Anders, uno dei futuri co-autori di questo libro. Dopo quell’esperienza, lui si è messo a fare televisione e film e io ho cominciato a scrivere gialli. Quando ci incontravamo ai festival letterari, ci mettevamo a chiacchierare e spesso il tema era: quale potrebbe essere la storia più appassionante da scrivere? Quale potrebbe essere il true crime che possa fare la differenza? Volevamo scrivere qualcosa nello stile di Dumas, cercavamo il tema per una grande epopea, discutevamo di personaggi, di storie. A un certo punto ci siamo riuniti per un weekend tutti insieme in una casa, abbiamo fatto una specie di brainstorming. E  ci siamo detti: e se Anderson fosse un detective? Abbiamo cominciato così, con questa idea un po’ folle, se vogliamo perché, per quanto improbabile, l’idea ci piaceva, volevamo vedere cosa poteva succedere. Ma eravamo molto molto cauti, perché Andersen in Danimarca è un personaggio enormemente famoso e avevamo paura della reazione del pubblico, dei media; ma più ne parlavamo e più l’idea ci sembrava esaltante. Forse, se fossimo riusciti a farlo nel modo migliore, ci dicevamo, ci sarebbe stato materiale non solo per una, ma per tante storie». 

E qual è stato il punto di partenza?

«Volevamo creare una sorta di “making of” del nostro eroe.

Raccontare le origini del detective. E ci siamo resi conto che il migliore modo di partire era raccontare quel periodo della vita di Andersen in cui tutto sembravava andargli male, almeno in apparenza: la sua carriera era un disastro, almeno in apparenza».

Avete fatto molta ricerca storica?

«Sì certo, moltissima: abbiamo letto quello che aveva scritto lui, anche di se stesso, e poi tutte le fonti disponibili in Danimarca, che sono moltissime. La sua vita, la sua corrispondenza, i diari. Abbiamo deciso di ripercorrere i suoi passi, esplorando Copenaghen in compagnia di alcuni storici, per cercare di ricreare la città dell’epoca. All’epoca la capitale danese era una specie di grande villaggio, chiuso nelle mura cittadine. Ci siamo subito resi conto che la storia avrebbe beneficiato di questa città reale, così lontana dal mondo delle favole».

Quindi, anche l’Andersen del vostro libro è molto prossimo a quello reale.

«Molti da giovani, si sentono inadeguati, non si trovano a proprio agio in se stessi. E questo è successo anche ad Andersen. Prima di diventare famoso per le favole, aveva scritto due romanzi che raccontavano persone insoddisfatte della loro vita, dei loro corpi; e ci siamo resi conto che nella sua testa c’erano tanti dubbi, anche riguardo alla sua sessualità». 

Il vostro romanzo è, in pratica, la versione noir della Sirenetta.

«Sì, esattamente. E ci ha ispirato anche il modo in cui si scriveva all’epoca. Pensiamo a Frankenstein di Mary Shelley, per esempio. Ci è subito piaciuto questo elemento di grottesco, di cupo. Certe scene, come il dottore che fa gli esperimenti con il gatto, sono un omaggio a questo tipo di letteratura».

In questo primo libro, Andersen viene accusato dell’omicidio di una prostituta, e poi cerca di risolverlo per difendersi. Nei prossimi libri diventerà un vero e proprio detective?

«Noi siamo partiti proprio dal raccontare “le origini di”, quello che vedremo nei prssimi romanzi è proprio l’evoluzione del personaggio».

Qualcuno in Danimarca ha gridato alla lesa maestà nel vedere sfruttato il nome di un simile simbolo nazionale?

«All’inizio quando ne scrivevamo eravamo preoccupatissimi,  ci chiedevamo cosa sarebbe successo. Dopo il primo comunicato stampa, le reazioni sono state molto dure. Cose del tipo: ma guarda un po’ questi, vanno a scavare nelle tombe, rubano dalla nostra tradizione. Ma quando il libro è uscito, i critici hanno capito che abbiamo scavato in maniera molto meticolosa nella nostra storia nazionale, nel nostro patrimonio culturale, che volevamo onorare la figura di Andersen.  Tutti noi cerchiamo di capire dove va il mercato editoriale, cosa può piacere ai lettori, che magari passano tutto il tempo a guardare Netflix, per esempio, o magari ad ascoltare audiolibri sul telefono».

A proposito di Netflix, è vero che questo romanzo diventerà una serie tv?

«Non è una cosa su cui siamo coinvolti direttamente, ma i diritti sono stati venduti e una casa di produzione sta cercando finanziamenti e definendo il budget per trarne una serie tv». 

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