Wopke Hoekstra: ««Spinta all’innovazione per le imprese della Ue, gli Stati Uniti corrono»

Il commissario delinea la fase 2 del Green Deal: aziende protagoniste per una crescita a emissioni zero dal nucleare ai carburanti sintetici.

Wopke Hoekstra, commissario europeo all’azione climatica
di Gabriele Rosana
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Venerdì 22 Dicembre 2023, 11:17
Imprese protagoniste della “fase 2” del Green Deal, il maxi-piano verde che vuole essere la «strategia di crescita» dell’Europa; investimenti pubblici ma anche privati per finanziare le tecnologie pulite e sostenere la transizione ecologica; e un approccio aperto che valorizzi le rinnovabili (l’Ue le vuole portare fino al 45% del mix energetico entro il 2030) ma guardi a tutte alle altre opzioni a emissioni zero disponibili, dal nucleare ai carburanti sintetici. «La scienza è scienza, non un’ideologia a cui possiamo decidere di credere oppure no», ci dice il commissario Ue all’azione climatica Wopke Hoekstra nel suo breve passaggio da Bruxelles tra la Cop28 di Dubai e la prima missione a Roma da quando è entrato a far parte della squadra di Ursula von der Leyen. Volto già noto della politica europea per essere stato il ministro delle Finanze olandese in un momento in cui i frugali erano in grande spolvero, cioè durante i negoziati che, nel luglio 2020, portarono alla creazione del Recovery Plan, Hoekstra ha fatto il ritorno sulla scena Ue dopo l’estate, rilevando il testimone dal connazionale Frans Timmermans, dal 2019 l’architetto del Green Deal. Con l’esponente socialdemocratico di ritorno in patria per dedicarsi alla politica nazionale, il governo de L’Aja ha mandato a palazzo Berlaymont, in sua sostituzione il cristiano-democratico Hoekstra, ministro degli Esteri uscente. La responsabilità dell’azione climatica è così passata nel campo dei popolari, dopo mesi in cui il Green Deal è stato al centro di un fuoco incrociato all’interno della stessa “maggioranza Ursula” di larghe intese. 
Commissario Hoekstra, è appena rientrato dalla Cop28, il summit Onu sul clima che ha messo nero su bianco l’impegno per una transizione globale dai combustibili fossili come petrolio e gas. Com’è andata?
«Le trattative alla Cop di quest’anno sono state intense, con i team negoziali che hanno lavorato senza sosta per due settimane. Abbiamo voluto mantenere la promessa di limitare l’aumento della temperatura globale di 1,5 gradi Celsius rispetto all’età preindustriale e garantire l’impegno di tutti per ridurre le emissioni entro il 2030 in modo deciso, rapido e sostenuto. L’Ue è già sulla buona strada, ma dovevamo assicurarci che le altre economie ne seguissero l’esempio. È l’inizio della fine dei combustibili fossili e un momento di svolta per l’azione globale sul clima: anche solo un anno fa, un accordo del genere sarebbe stato del tutto impensabile». 
Cosa bolle in pentola per il futuro? 
«Nel 2024 la Cop29 si terrà a Baku, in Azerbaigian: il focus sarà la finanza climatica globale per aiutare i Paesi più vulnerabili ad affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici. Ad oggi, sul piano internazionale l’obiettivo di sostegno per i Paesi in via di sviluppo è pari a 100 miliardi di dollari all’anno. Ma le necessità sono più consistenti e i fondi pubblici, da soli, non bastano; dobbiamo riuscire a mobilitare pure i capitali privati».
Nei giorni in cui assumeva l’incarico di commissario, von der Leyen inaugurava la “fase 2” del Green Deal. Cosa significa? 
«Il Green Deal è la nostra strategia di crescita. Ora che la gran parte dei dossier normativi è stata approvata, è il momento dell’attuazione. Alcuni passi avanti sono già sotto i nostri occhi, ad esempio con il “Net Zero Industry Act”. La nostra visione per l’industria si basa su quattro pilastri: ambiente normativo prevedibile e semplificato, accelerazione dell’accesso ai finanziamenti, miglioramento delle competenze e apertura ai commerci per rendere le nostre filiere più resilienti. O, ancora, il capitolo finanziamenti, con quelli del Pnrr per modernizzare la nostra base industriale e il fondo per l’innovazione per sostenere, con 40 miliardi di euro già stanziati fino al 2030, lo sviluppo delle tecnologie pulite più promettenti. E dalla revisione dell’Ets, lo schema Ue di scambio delle quote di emissione di CO2, entro la fine del decennio ai governi arriveranno fino a 700 miliardi di risorse da reinvestire: è uno degli esempi migliori di come l’azione per il clima sia anche un modo per aiutare le aziende europee».
Come pensate di incentivare l’industria “green” Ue, in particolare di fronte ai maxi-sussidi dell’Inflation Reduction Act (Ira) Usa?
«Vogliamo rendere l’Europa il continente dell’innovazione industriale. Accelerare sulle energie rinnovabili sarà fondamentale: più ne semplifichiamo l’installazione, più velocemente saremo in grado di procedere. Le misure prese all’indomani dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e della crisi energetica vanno esattamente in questo senso. In generale, dobbiamo avere chiare le tappe dell’itinerario che stiamo percorrendo: e per questo, a inizio anno, presenteremo un piano d’azione per i target climatici al 2040. Quanto all’Ira, ciò che stanno facendo gli Stati Uniti ci dimostra che l’economia globale del futuro sarà sostenibile: con i partner americani abbiamo discusso alcuni profili critici, ma crediamo nelle nostre capacità e nella forza e capacità di adattamento del nostro mercato». 
Nelle vostre intenzioni, “fase 2” del Green Deal vuol dire anche dialogo a tutto campo?
«Esatto. Tutti i miei sforzi sono diretti a far sì che i comparti industriali, Pmi comprese, siano pienamente partecipi della nostra ambizione climatica, che riguarda la società intera. Dobbiamo discutere con tutte le parti coinvolte per capire come realizzare al meglio il futuro a zero emissioni. Prendiamo, ad esempio, gli agricoltori: a gennaio, la Commissione Ue avvierà un dialogo strategico sul futuro del settore. Vogliamo ascoltarne le preoccupazioni e contribuire a trovare nuove soluzioni affinché si possa lavorare in maniera più sostenibile: proprio come l’industria, pure l’agricoltura è parte della soluzione. E di una transizione ben più ampia: l’intero sistema alimentare Ue dovrà ridurre il proprio impatto».
Una questione particolarmente spinosa all’interno del Green Deal è stata la messa al bando del motore a diesel e benzina a partire dal 2035. 
«Voglio essere chiaro: la nostra legislazione non imporrà alle case automobilistiche di produrre solo veicoli elettrici, ma semmai vetture a emissioni zero. L’industria dell’automotive in Italia, Francia, Germania e nel resto dell’Ue è un settore produttivo molto importante, di cui dobbiamo andare fieri: toccherà alle aziende - e solo a loro - scegliere la tecnologia su cui puntare, anche se è chiaro che la gran parte opterà per batterie, celle a combustibile e idrogeno. Intendiamoci, però: le auto a diesel e benzina immatricolate prima del 2035 potranno continuare a circolare, e a farlo pure per un lungo periodo, così come potranno essere vendute nel mercato dell’usato». 
C’è, in parallelo, la questione dell’ok agli e-fuel, cioè i carburanti sintetici, ma non ai bio-fuel ottenuti dalle biomasse cari all’Italia… 
«Gli e-fuel continuano a emettere gas di scarico dal tubo di scappamento, ma grazie al modo in cui sono prodotti sono neutrali dal punto di vista della CO2. Il lavoro tecnico per autorizzarli è in corso, sulla base dell’accordo raggiunto a marzo tra Commissione e Consiglio». 
Altro tema che fa discutere e polarizza le opinioni è il nucleare. Che posto ha nella transizione verde dell’Ue? 
«Nei nostri scenari di emissioni zero al 2050, il nucleare ha un ruolo da svolgere. Al pari degli scienziati, anche io penso che, in questo momento, non possiamo permetterci di escludere l’energia atomica dal nostro mix energetico. Ma la decisione in merito spetta a ciascuno Stato Ue, e non alla Commissione». 
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