Francesco Hayez, a Milano una grande retrospettiva alle Gallerie d’Italia

Francesco Hayez, a Milano una grande retrospettiva alle Gallerie d’Italia
di Mariapia Bruno
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Venerdì 23 Ottobre 2015, 18:47 - Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 09:19
Entrare nelle grazie di critici e grande pubblico - si sa - non è certo una passeggiata. Ci sono artisti di cui vengono apprezzate le opere delle più diverse fasi della loro vita, come Picasso ad esempio, o Van Gogh.



Ce ne sono altri che diventano noti per un’intuizione geniale, come Francesco Hayez (1791 - 1882), il cui Bacio, orgoglio di Brera, lo fa sembrare il Giuseppe Tomasi di Lampedusa dell’arte, che con una sola fortunata opera ha conquistato la vetta. Certo, di opere Hayez ne ha dipinte tante: se le contendono i grandi musei e i ricchi collezionisti. Ma il pubblico, per spostarsi da casa ed andare a vedere una mostra, ha bisogno di un bel Bacio di incoraggiamento.



Un bacio che riescono a dare le Gallerie d’Italia di Piazza Scala a Milano, che dal prossimo 7 novembre spalancano le porte dell’ambiziosa retrospettiva Hayez, che raccoglie in una sola sede 120 dipinti e affreschi dell’artista. Accanto alle opere qui di casa appartenenti alla Fondazione Cariplo come La morte di Abradate (1813), Papa Urbano II sulla piazza di Clermont predica la prima crociata (1835) e L'ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia, noto come I due Foscari (1838 - 1840), si potranno ammirare le due versioni della Malinconia e le tre del ben noto Bacio, una delle quali fu esposta anche all’Esposizione Universale di Parigi del 1867.



«Hayez è morto a 91 anni, ha attraversato praticamente un secolo di pittura – spiega il curatore Mazzocca – ha assistito a molti cambiamenti del gusto, senza mai cedere nell'impareggiabile stile, bensì affinando ispirazione e tecnica e cimentandosi nei più diversi generi, sempre con grande successo. Ancora oggi è attuale perché non è mai retorico, neanche nelle grandi tele di ispirazione storica, ma guarda al di là delle convenzioni e della moralità vittoriana del tempo. Il suo era un linguaggio in cui l'Italia poteva riconoscersi e lo fece, consacrandolo da subito il cantore della bellezza, dell'amore e dei valori risorgimentali, di sentimenti comunque universali, di cui la sua opera intera è indissolubilmente intrisa».