I professori contro il Politecnico di Milano, l'Ateneo che abolisce l'italiano

I professori contro il Politecnico di Milano, l'Ateneo che abolisce l'italiano
di Federico Guiglia
3 Minuti di Lettura
Martedì 27 Ottobre 2015, 03:44 - Ultimo aggiornamento: 28 Ottobre, 09:39
Non era mai successo che un folto gruppo di docenti, ben centoventisei, inviasse una lettera al presidente della Repubblica per denunciare l'abolizione della lingua italiana nell'insegnamento specialistico di un'Università pubblica in Italia. Ma la prima volta coincide con l'inaugurazione dell'anno accademico al Politecnico di Milano, che ieri ha visto la partecipazione di Sergio Mattarella.



Con l'occasione a lui i professori firmatari hanno rivolto un appello forte e amaro: «Un esempio evidente del deficit democratico di cui soffre oggi l'Università è costituito, per quanto specificamente riguarda il Politecnico di Milano, dalla questione dell'esclusione dell'italiano come lingua d'insegnamento nelle lauree magistrali». Riesplode, così, una polemica culturale e civile che era stata sepolta sotto un cumulo di cavilli, essendo il caso del Politecnico di Milano arrivato all'esame della Corte Costituzionale, dove ancora, letteralmente, giace: è lecito che nell'insegnamento pubblico, pagato dai contribuenti italiani, si decida di buttare nel cestino delle lingue rifiutate la lingua ufficiale della Repubblica, la lingua degli italiani da più di mille anni e dello Stato italiano dal 1861?



La battaglia ingaggiata dai docenti contro le delibere con cui nel 2011 il Senato accademico introduceva l'insegnamento dell'inglese non più come alternativa, ma come esclusiva rispetto all'italiano nelle lauree magistrali e nei dottorati di ricerca si gioca intorno a una congiunzione: “anche”. Una legge del 2010 prevede che i corsi di studio possano essere svolti “anche” in lingua straniera. Con un'ordinanza nel gennaio di quest'anno il Consiglio di Stato ha chiesto alla Consulta come va interpretato il pur chiaro riferimento. Forse la parola “anche” può significare qualcos'altro che non sia aggiungere, sommare, arricchire, e non certo cassare o eliminare? Un'opportunità, non un'esclusione. Tanto chiaro è il riferimento che la precedente sentenza del Tar della Lombardia aveva demolito la scelta del Politecnico di sostituire l'italiano con l'inglese. D'altronde, è lo stesso Consiglio di Stato, sezione VI, dove il ricorso era approdato per l'ultima parola, ad aver ricordato nell'ordinanza che la giurisprudenza della Corte Costituzionale «da tempo ha affermato che la Costituzione conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l'italiano come unica lingua ufficiale». E ancora: «La Corte ha ribadito che la consacrazione della lingua italiana quale lingua ufficiale della Repubblica non ha evidentemente solo una funzione formale, ma funge da criterio interpretativo generale delle diverse disposizioni che prevedono l'uso delle lingue minoritarie, evitando che esse possano essere intese come alternativa alla lingua italiana o comunque tali da porre in posizione marginale la lingua ufficiale della Repubblica; e ciò anche al di là delle pur numerose disposizioni specifiche che affermano espressamente nei singoli settori il primato della lingua italiana». «Se quindi - concludeva il Consiglio di Stato - questa è la scala dei valori, che pur in presenza di una specifica norma di rango costituzionale a tutela di una diversa lingua pone quella italiana in posizione di supremazia, tanto più tale criterio deve valere nei confronti di una lingua straniera».

Ma l'appello dei docenti al Quirinale solleva una vicenda ben oltre la giurisprudenza consolidata. Il Politecnico sostiene che la sua scelta, autonoma e formativa, vada nella direzione dell'«internazionalizzazione degli atenei». Ed è proprio questo ciò che i professori contestano, che il Politecnico confonda l'universo col provincialismo. Contestano che, per aprirsi al mondo, gli italiani siano costretti a rinunciare all'italiano in Italia, mentre all'estero la lingua di Dante è la quinta e spesso quarta lingua straniera più studiata. Nessuna Università francese, spagnola o tedesca abolirebbe la propria lingua come se non servisse più. Meno che mai tra ingegneri e architetti nella patria di Leonardo e Galileo, di Marconi e Fermi, di Segrè, Rubbia e Giacconi, italiani di mondo e non di provincia.



www.federicoguiglia.com