Toni Servillo in “La ragazza nella nebbia” di Donato Carrisi: «Il male è uno show, questo film parla del nostro presente»

Toni Servillo in “La ragazza nella nebbia” di Donato Carrisi: «Il male è uno show, questo film parla del nostro presente»
di Gloria Satta
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Mercoledì 25 Ottobre 2017, 09:58 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 13:35
I capelli corvini raccontano il suo Berlusconi, uomo di potere e di cene eleganti. Ma Toni Servillo, per un momento strappato al set di Loro, il film di Paolo Sorrentino dedicato all'ex premier, non si lascia sfuggire una parola sulla sua interpretazione che ha già messo a rumore il mondo intero. L'attore, 58 anni e una carriera leggendaria nel cinema e in teatro, parla invece del commissario Vogel che incarna nel film ispirato a un romanzo di Donato Carrisi e diretto dallo stesso scrittore: La ragazza nella nebbia. Stasera farà la preapertura della Festa di Roma e uscirà con Medusa il 1° novembre. «Ho debuttato dietro la cinepresa perché ho sempre scritto per immagini», spiega Carrisi, «e penso che la regia sia un lavoro collettivo: ognuno, sul set, mi ha dato il suo contributo».
Racconto noir ambientato in un immaginario, claustrofobico paesino incastrato tra le montagne, interpretato anche da Jean Reno, Alessio Boni, Michela Cescon, Lorenzo Richelmy, Pietro Faiella, Lucrezia Guidoni, il film parte dalla sparizione di una sedicenne. Tutti, dall'insegnante allo psichiatra, dal fanatico religioso alla giornalista, sono sospettabili e, in un susseguirsi di colpi di scena, niente è come sembra. «Ho seguito da reporter tanti delitti in provincia», spiega Carrisi, «e ho capito che il crimine è un business: i ristoranti si riempiono, le dirette tv costano meno di una fiction ma attraggono più pubblicità. Mi sono ispirato ai noir degli anni '60, a film come Il silenzio degli innocenti e Seven, ai thriller di Besson».
E lei, Servillo, ha girato il film perché ama i thriller?
«Tutt'altro. Non conoscevo Carrisi scrittore e non sono appassionato di gialli. La sceneggiatura, che mi ha tenuto sveglio con le sue sorprese, mi pareva interessante perché, al di là dell'intreccio, racconta il presente».
Cosa intende dire?
«Nella nostra società, diventata il palcoscenico dell'intrattenimento, il male è dovunque e si compiace di essere rappresentato nell'informazione e nello spettacolo».
Segue con interesse i casi di cronaca nera?
«No, e non condivido la fame bulimica del pubblico per questo genere di notizie. Lo spettacolo dei sentimenti è molto brutto, riduce tutto a uno show. E il male sguazza».
Cosa ha di speciale il suo commissario?
«È arrogante, vanitoso, crede di avere una vista d'aquila ma è miope. S'illude di essere il regista occulto dell'inchiesta e finisce per esserne una vittima».
Come l'ha convinta Carrisi?
«Mi piace raccontare che gli ho detto di sì sotto un temporale. In realtà ho apprezzato la sua capacità di riscrivere il romanzo con la cinepresa, inventando dialoghi bellissimi e profondi».
Essere considerato un mostro sacro le dà sicurezza?
«Da uomo di teatro che fa 170-200 serate all'anno, sono pieno di paure. Non c'è nulla di più frustrante che avvertire in platea l'indifferenza del pubblico, non a caso è definito da Shakespeare un mostro a tante teste».
Capita anche a lei di dirsi «stavolta non ce la faccio»?
«Certo. È il miglior vaccino contro la vanità. Aiuta ad affrontare le sfide».
Qual è la più grande?
«Arrivare al cuore dello spettatore con l'intelligenza e le emozioni».
Ieri Andreotti, nel film Il Divo, oggi Berlusconi: la sua carriera è all'insegna delle trasformazioni.
«Non servono a dimostrare che ho un talento eclettico. Mi permettono di prendere le distanze da me stesso per entrare nei personaggi e restituirli al pubblico nella loro verità».