Maraviglioso Boccaccio, il decameron secondo i fratelli Taviani

Maraviglioso Boccaccio, il decameron secondo i fratelli Taviani
di Fabio Ferzetti
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Giovedì 26 Febbraio 2015, 13:55 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 16:40
Ci sono film così belli che verrebbe voglia di migliorarli, e non è un paradosso.

Mondi così carichi di suggestioni che si vorrebbe entrarvi dentro per farli propri, approfondirli, magari modificarli. Succede con Maraviglioso Boccaccio, che anziché saziarci di emozioni e sensazioni sembra sempre fermarsi sulla soglia, lasciando addosso un senso di incompiutezza che è anche invito a riprendere, a interrogare il senso di ciò che vediamo.



Ma succede anche nel film stesso, quando la sventurata Ghismunda (Smutniak) “trapassa” dal mondo fittizio della novella narrata a quello della tenuta in cui si sono accampati i giovani fuggiti dalla peste, ritrovandosi fra le ragazze, così simili a lei, che stavano ascoltando la sua storia. E succede di nuovo quando gli ascoltatori delle peripezie di Calandrino (Rossi Stuart) interrompono la storia contestando quel finale così cupo.



In questo capovolgimento improvviso, non nuovo nel cinema odierno ma insolito nel Trecento, sta forse il senso del nuovo film dei Taviani. Che passando dal carcere di Cesare deve morire all’autoreclusione di Maraviglioso Boccaccio continuano a lavorare su alcuni punti decisivi quanto trascurati per chiunque partecipi all’ininterrotto flusso narrativo che avvolge le nostre vite. Chi racconta cosa, e a che titolo? Che cosa fa, il tempo, di questi racconti, e cosa sappiamo (o vogliamo) farne noi stessi?



Naturalmente oggi non ci sono più i novellieri, oggi c’è Youtube. Ma in realtà non è cambiato nulla, anzi l’immenso successo giovanile di questo canale “orizzontale”, costruito in gran parte dai suoi stessi fruitori, dimostra tutta l’attualità di questo film. A prima vista così lontano dal gusto corrente, con i suoi nomi arcaici, i magnifici costumi, le inquadrature in cui le bellezze dell’arte sfidano quelle della natura mentre i personaggi affrontano emozioni e conflitti senza tempo. E la disperazione delle prime scene, con la città devastata dalla pestilenza, cede il passo alla speranza, nelle storie narrate come nella cornice di quei giovani decisi a combattere l’orrore scegliendo la vita comunitaria, i piaceri del racconto - e una prudente quanto temporanea castità.



Con qualche rimpianto, va detto, per quanto i Taviani avrebbero potuto fare se oltre alle ragioni del cuore (e della cultura) avessero ascoltato a fondo quelle del corpo. Come accade nelle scene magari meno “educate” ma più sorprendenti, in cui la Natura diventa quasi Storia. I maiali rantolanti nelle vie della città, il falcone che intuisce il suo destino, quel ciliegio rosso di frutti insanguinati, il prato fiorito su cui si rotolano le fanciulle... Momenti forti di un film così equilibrato e consapevole che verrebbe voglia di entrarvi per scompigliarlo un po’.
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