Stefano Dal Corso, morto nel carcere di Oristano. La sorella Marisa: «Mio fratello non si è suicidato. Voglio la verità»

Il 42enne trovato morto nella sua cella, lo scorso 12 ottobre. Nel pomeriggio, nel quartiere Tufello, la manifestazione per accendere i riflettori sulla vicenda affinché non sia dimenticata

Manifestazione al Tufello per Stefano Dal Corso
di Alessia Perreca
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Mercoledì 12 Aprile 2023, 23:24

“No, nessun suicidio. Vogliamo solo la verità”. Lo hanno ribadito a gran voce i familiari, l’avvocato, l’amministrazione municipale e gli amici di Stefano Dal Corso, 42 anni, trovato morto - impiccato - nel carcere di carcere di Oristano, lo scorso 12 Ottobre. E lo hanno fatto, questo pomeriggio, riuniti, in Piazza degli Euganei, al Tufello, quartiere dove Stefano ha vissuto. 

Una manifestazione pacifica per chiedere che venga fatta luce sulla sua morte avvenuta - secondo Armida Decina, legale della famiglia Dal Corso - per cause non del tutto chiarite.

L’uomo - secondo quanto scritto nelle carte della procura sarda - si sarebbe impiccato all’interno della sua cella dove era detenuto e sarebbe deceduto a causa della frattura dell’osso del collo. Il caso è stato quindi archiviato.  Una versione dei fatti che però non ha convinto Marisa Dal Corso, sorella di Stefano. “Stefano non si è ucciso”, ha detto al Messaggero. “E’ successo altro. Era solo in cella. Ci sono diverse incongruenze tra la documentazione arrivata, le foto della cella e quello che ci hanno raccontato. L’autopsia è l’unico mezzo che abbiamo per chiarire i nostri dubbi e far luce sulla verità.”

“Dire, attraverso un referto medico - peraltro nemmeno firmato - che la morte di Stefano è stata causata dalla rottura dell’osso del collo è impossibile poterlo sostenere senza un esame autoptico ed una tac. E nessuna delle due cose è stata fatta. Una volta accertata la verità, se qualcuno ha delle responsabilità, è giusto che paghi. E’ giusto che la famiglia di Stefano e tutti noi portiamo avanti quel senso di giustizia che è doveroso avere”, ha commentato l’avvocato Armida Decina nel corso della manifestazione. “E’ giusto - ha sottolineato - che diventi obbligatoria la legge che preveda l’autopsia, soprattutto quando la morte di un ragazzo avviene all’interno di un istituto che dovrebbe, per prima cosa, tutelare la sua vita. E nel caso di Stefano, non è successo. Ma noi non ci fermiamo."

 

Tanti gli interrogativi e dubbi intorno a questa storia. A cominciare dalle foto che ritraggono Stefano Dal Corso con diversi lividi sul corpo. Il letto completamente in ordine, un lembo del lenzuolo ancora attaccato alla grata della finestra. Nessun segno di impronte sulle coperte e nessuna immagine che ritrae l’uomo, impiccato, nella sua cella. E’ la famiglia ad accendere i riflettori su una morte avvolta nel mistero e chiedere - ancora una volta - l’esame autoptico malgrado le istanze presentate. 

Insieme alla sorella Marisa ed al legale, anche il Municipio III. “Come istituzione locale - ha commentato al Messaggero l’assessore Luca Blasi - faremo quello che è in nostro potere affinché venga fatta l’autopsia. Abbiamo trovato - insieme alla famiglia - dei professionisti che si sono resi disponibili ad offrire la loro consulenza, ad approfondire il caso e i diversi aspetti. Il Municipio III continuerà ad essere vicino alla famiglia di Stefano, per la ricerca della verità. Oggi è una manifestazione tranquilla, anche siamo in parecchi arrabbiati.”

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