Ameno cinque milioni di euro. Tanto avrebbero fruttato “su piazza” i cinquanta chili di cocaina purissima intercettati dai Finanzieri di Civitavecchia al porto: erano occultati in un container refrigerante imbarcato in stiva dall’Ecuador. Ovvero sulla nuova rotta del narcotraffico internazionale gestita - come rivelato da recenti indagini dei segugi del Gico - prevalentemente da epigoni della potente narcomala albanese che ha studiato e adottato i metodi della mafia italiana riproducendoli in larga scala all’estero. Con la benedizione dell’altro volto della luna, vale a dire della ‘ndrangheta egemone nelle trattative con i produttori sudamericani. Il carico era pronto per inondare i luoghi della movida on the beach e le località di villeggiatura per il Ferragosto alle porte. Dalle sponde del Tevere a Fregene, da Santa Marinella a Fiumicino. Pronto per essere reimbarcato sui traghetti per foraggiare i canali di distribuzione “al dettaglio” che in questo periodo traslocano fino sull’isola di Ponza o nelle mète più gettonate della Sardegna.
I CORRIERI
Le indagini sono ovviamente in corso e blindatissime. Nel blitz gli agenti della Guardia di finanza sono riusciti a mettere le mani sulla montagna di panetti di droga prima che i corrieri addetti al recupero intervenissero. Il gruppetto di uomini era in attesa sulla banchina. Anzi aveva già messo piede nell’area di scarico e deposito inaccessibile ai non autorizzati. In mano (e con tutta probabilità su smartphone criptati) le credenziali per arrivare a dama con sicurezza: foto e indicazioni precise del container da cui avevano già prelevato la droga. Ma alla vista degli investigatori si sono dileguati. Dopo l’intimazione dell’alt, la “squadra” dei narcos si è data alla fuga e, poco distante, i militari hanno rinvenuto tre borsoni contenenti 45 panetti di cocaina, per un peso complessivo di circa 50 chilogrammi. Ora chi indaga è sulle loro tracce.
Ma a chi era diretta esattamente la coca? L’ipotesi più accreditata è quella che avrebbe preso la strada della Capitale, attraverso le classiche “staffette” di auto a nolo o dei camper per mescolarsi tra i turisti, con la carrozzeria modificata ad hoc per nascondere lo stupefacente. Non è un caso, secondo gli inquirenti, che un altro maxi-carico di 72 chili di cocaina della migliore qualità precedentemente bloccato sempre nel porto di Civitavecchia, fosse destinato ai potenti clan che si contendono le piazze di Tor Bella Monaca radicando propaggini in quel del Quarticciolo e di San Basilio. Proprio seguendo le orme della coca sudamericana (partita da Quito e non dalla Colombia) era scattata nel settembre scorso la misura cautelare nei confronti di Giancarlo Tei, amico e sodale del boss albanese Elvis Demce, personaggio di spicco all’ombra delle Torri di via dell’Archeologia, in perenne guerra contro gli emergenti e recalcitranti pusher nordafricani. Misura a cui “Lalletto” è scampato dandosi alla latitanza. Eppure, stando ai beninformati, la sua presenza (o assenza) si farebbe ancora sentire e regolamenti rimasti in sospeso aiuterebbero a decifrare alcuni dei fatti di sangue e avvertimenti di fuoco registrati negli ultimi mesi a Roma.
LA LOGISTICA
La strada per Torbella non è l’unica presa in considerazione. Cambiano gli indirizzi ma i personaggi e i gruppi criminali sono sempre gli stessi. Altre rotte consolidate da Civitavecchia hanno portato a bussare fino alle porte di volti noti dello spaccio a Primavalle e Montespaccato. «Le menti e le basi delle organizzazioni - spiega un investigatore di lungo corso - rimangono nei domicili soliti, ma poi i carichi sono proiettati sulle località dove i clienti vanno in vacanza».
Da Fregene ad Anzio, da Ponza alla Costa Smeralda. Altre strade arrivano fino alle località di montagna, ai piedi delle Dolomiti: il mercato della coca non chiude mai per ferie.