Centri estivi a Roma, la crisi: ritardi e posti insufficienti, e i prezzi vanno alle stelle

I municipi sono rimasti senza fondi: «Molte strutture pubbliche rischiano la chiusura». Tante famiglie si affidano ai privati, ma per una settimana si paga fino a 200 euro

Centri estivi a Roma, la crisi: ritardi e posti insufficienti, e i prezzi vanno alle stelle
di Francesco Pacifico
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Martedì 13 Giugno 2023, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 14 Giugno, 09:00

Fabiana, mamma del quartiere Africano di due ragazzini, uno alla primaria e l'altra alle medie, fa fatica a contenere la sua disperazione: «Con quello che costano quest'anno i centri estivi privati, mi conviene quasi quasi mandare il piccolo una settimana a un'accademia di calcio e la più grande a imparare l'inglese all'estero. E molti lo stanno facendo». Ci sarebbero anche quelli pubblici. «Lasciamo perdere - conclude amara - saranno anche più convenienti, ma i posti sono pochi e sono sold out già da metà maggio». Basta farsi un giro davanti alle scuole materne, primarie e medie oppure perdersi nelle chat dei genitori: ovunque è comune il grido da parte delle famiglie sul boom dei prezzi dei centri estivi nella Capitale. Il tariffario settimanale, visto il momento storico, è da brividi: una struttura comunale costa in media una settantina d'euro, quelle dei privati anche 200 euro, con quest'ultime schizzate in alto anche del 25-30 per cento rispetto allo scorso anno.

 

Il quadro

Per la cronaca, se non si guarda ai numeri e soltanto all'aspetto più qualitativo, l'offerta a Roma è vasta: tutti i centri estivi garantiscono il pranzo e l'attività sportiva (per lo più calcio e atletica), per la maggior parte si tengono in scuole, parrocchie e ville storiche. Poi non manca chi organizza corsi d'equitazione, lavori di pittura e lezioni d'inglese. A ben guardare, il quadro non potrebbe essere diverso. Sì, perché i centri estivi sono pochi: circa 250 in totale e in tutta la Capitale per una platea - tra allievi di asili, elementari e medie - di quasi 350 mila bambini e ragazzini. Oltre il 70 per centro delle strutture è gestita dei privati, comprese anche quelle di parrocchie e non profit. E minori servizi in questa direzione sono offerti alla città soprattutto nel quadrante est: in periferie come Tor Bella Monaca, Borghesiana o Centocelle è quasi inesistente.

Spiega Pinella Crimì, vicepresidente del Forum della associazioni delle associazioni delle famiglie: «A Roma la questione è strutturale, perché si riesce a trovare una collocazione soltanto a 1.500 bambini. Per anni è mancata la programmazione su questo fronte: nonostante l'alta denatalità, le istituzioni dimenticano che sulla Capitale gravitano anche famiglie non ufficialmente residenti, ma che vivono qui. Mancano le risorse (da garantire anche sotto forma di detrazione) come la capacità di superare certe convinzioni che valevano dieci anni fa, senza contare quella che in gergo si chiama la sussidiarietà, coinvolgendo i privati».


Sempre sul fronte delle realtà pubbliche, dal Campidoglio segnalano ritardi nella presentazione dei singoli progetti da parte dei Municipi, che fanno partire in ritardo rispetto alle necessità delle famiglie l'avvio dei centri. I minisindaci la pensano diversamente: a mancare sono i fondi. Fino a qualche anno fa Roma Capitale, che deve in primo luogo sostenere il costo degli operatori per i bambini disabili, riusciva anche ad aiutare i privati. Adesso le cose vanno diversamente: tra ieri e oggi l'assessore capitolino al Bilancio, Silvia Scozzese, incontra i presidenti dei Municipi per scrivere la variazione di bilancio da portare a breve in Aula Giulio Cesare. E tutte le ex circoscrizioni hanno confermato che non bastano i due milioni di euro concessi per le attività destinate ai minori. Spiega Lorenza Bonaccorsi, alla guida del I Municipio: «Soprattutto per pagare gli operatori, compresi quelli più esperti per i ragazzini disabili, ci servono 150 mila euro in più. Altrimenti rischiamo di chiudere i centri a fine giugno».

 

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