Anche lei ha manifestato?
«Si ovviamente. Gerusalemme Est è una città araba a cristiana al tempo stesso, non riguarda una questione religiosa. L’annuncio di Trump è qualcosa che va contro il popolo palestinese che, come sappiamo, è sia cristiano che musulmano. La dichiarazione di Trump quindi tocca il futuro e la pace del nostro Paese».
Cosa immaginate possa accadere nei prossimi giorni?
«L’annuncio di Trump avrà effetti in tutto il Medio Oriente. L’amministrazione Usa verrà vista come il nemico che prende decisioni a favore dello Stato di Israele. Vedremo cosa accadrà domani che è venerdì, dopo la preghiera».
Si ritornerà indietro, come ai tempi dell’Intifada?
Serve una maggiore pressione diplomatica sugli Usa e su Israele?
«Noi nella chiesa di Ramallah preghiamo. E le preghiere sono un’arma potente. Poi la diplomazia è in azione. L’altra mattina in Vaticano c’era una delegazione palestinese. Al Presidente Trump sappiamo che hanno inviato lettere tutti i capi delle Chiese Cristiane presenti in Terra Santa. Luterani, evangelici, ortodossi, armeni. La questione non è religiosa e nessuna religione potrà mai dare spazio ad azioni illegali o terroristiche. Non si tratta dell’Occidente contro il mondo islamico. Posso aggiungere una cosa?».
Certo…
«Vorrei fare un appello al Papa e a tutti i cattolici visto che tra poco è Natale. Vorrei dire che noi cristiani che viviamo qui abbiamo bisogno della solidarietà della Chiesa in Italia. Qui avete fratelli che soffrono non tanto perché sono cristiani, ma perché sono palestinesi».
Quanti cattolici ci sono a Ramallah?
«La parrocchia cattolica conta 500 famiglie, circa 2 mila fedeli su una popolazione di 55 mila persone. Assieme ai cattolici però c’è una comunità di ortodossi e poi ci sono gli anglicani».
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