Rispetto al leggendario crollo di Bologna, per mano di Guazzaloca, stavolta la sconfitta appare irreversibile, se il Pd non trova un ubi consistam anche a livello nazionale e se non riattiva una buona selezione delle classi dirigenti locali, che nel 900 esisteva ma s'è poi inceppata, producendo più che altro auto-referenzialità di casta. Il Pd sei mesi ha impiegato per scegliere il proprio candidato a Pisa. A Siena la sinistra si è presentata divisa in due. E il risultato eccolo qui. Ma quello che è successo davvero, in questa rivoluzione geopolitica, è che nelle elezioni politiche del 2013 lo scontento degli elettori di sinistra si riversò sui 5 stelle. Poi il 4 marzo scorso quei voti in uscita, in Emilia, in Toscana e nelle regioni vicine, hanno cominciato a prendere la strada della Lega. E ora, nel primo e nel secondo turno di queste amministrative, sono rimasti fedeli all'ultima scelta. E ai nuovi bisogni. Gli ex elettori di sinistra non sono affatto diventati razzisti o bifolchi. Chiedono, come tanti altri, sicurezza civica (la bomba immigratoria spiega molto del grande ribaltone) e protezione sociale e perciò si rivolgono al centrodestra a trazione Carroccio. Salvini, che nell'Italia centrale ha messo le tende, e ha riempito le piazze che gli chiedono concretezza, sa benissimo qual è la portata della sfida. Che egli, in queste ore, non fa che definire un «antipasto». Perché? L'obiettivo finale, nello sbriciolamento dell'Italia rossa, è quello di espugnare nel voto del 2020 la presidenza regionale della Toscana e quella dell'Umbria. Due leghiste, fedelissime di Salvini, sono già in pista per questo ruolo ormai a portata di mano: Susanna Ceccardi, sindaca di Cascina, stratega del successo toscano, e Donatella Tesei, sindaca di Montefalco e senatrice presidente della Commissione Difesa. Andrà come andrà, intanto un fatto epico è già accaduto.
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