Il ministro Costa: «Legittima difesa, ora si cambi: basta ambiguità»

Ernrico Costa
di Sara Menafra
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Lunedì 3 Aprile 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 08:56
ROMA Ministro Enrico Costa, prima come viceministro della Giustizia e ora come ministro agli Affari regionali con delega alla Famiglia, lei si è molto occupato dei reati che creano allarme sociale. Il testo oggi in Parlamento in materia di legittima difesa è sufficiente secondo lei a regolare la materia?
«L’intervento oggi in discussione non funziona. Va completamente riscritto, non credo di svelare misteri se dico che è inadeguato. Bisogna rivedere la legge attuale e modificarla in un testo che sia estremamente chiaro. E si deve agire rapidamente. Come ministro con delega alla famiglia non posso nascondere di essere molto preoccupato».

Secondo lei il caso di Budrio svela un fenomeno più ampio?
«Il problema non è il caso specifico, credo che si debba invece affrontare un ragionamento più ampio a partire dalle mutate condizioni di partenza. La legittima difesa nel tempo è cambiata e le leggi non sono state in grado di resistere alla sfida. Il tema è delicato e non può prestarsi a strumentalizzazioni politiche. Non vanno bene i toni trionfalistici quali quelli usati dalla Lega nel 2006 quando annunciò le modifiche alla legge, salvo poi farci trovare di nuovo al punto di partenza. E non vanno bene neppure le scelte di basso profilo, la sottovalutazione del tema. La verità è che la criminalità, anche quella dei reati comuni, col tempo ha cambiato pelle». 

In che modo?
«Un tempo esisteva il cosiddetto topo d’appartamento, che entrava in casa quando sapeva che le persone erano fuori. Oggi ci sono vere e proprie bande che entrano nelle abitazioni sapendo che gli inquilini sono all’interno e agiscono per renderli inoffensivi. Assistiamo alla costante trasformazione dei furti in rapine. E la prova di quel che dico sta nel fatto che se chiediamo al cittadino comune se i furti siano aumentati o diminuiti, quasi tutti parleranno di numeri in crescita. Invece, i numeri sono sì in diminuzione, ma spesso la dinamica pesa molto di più sui cittadini. Cambia la percezione, l’approccio psicologico al rischio, il timore per quanto potrebbe accadere. Oggi se accendi la luce il ladro non fugge, ti viene in contro e ti neutralizza».

Secondo lei sarebbe necessario cambiare la legge attuale?
«Più volte si è stati portati a fare interventi di fatto poco incisivi, che non andavano a toccare la radice del problema. E’ invece necessario un drastico cambiamento del concetto di legittima difesa. Partendo, ad esempio, da un punto chiaro: non è possibile che su un tema tanto delicato ogni tribunale faccia la propria autonoma valutazione». 

Come si fa ad evitarlo?
«E’ necessario scrivere una norma chiara, che stabilisca con nettezza quello che si può fare e quello che non si può fare. La vittima che ha figli in casa o quella che ha subito già furti, cambia il proprio atteggiamento. Quando e come questo sia ammissibile deve essere fissato chiaramente dal testo di legge. Non è pensabile che chi subisce un’aggressione si soffermi a fare ragionamenti giuridici e non ci devono più essere macchie di leopardo giurisprudenziali. Chi subisce un’aggressione deve sapere chiaramente cosa può fare e cosa non può fare. Alcuni segnali che ci danno oggi gli elettori vanno letti con chiarezza...»

A quali segnali allude?
«L’Italia dei valori ha lanciato una sottoscrizione su questo argomento raccogliendo un milione di firme. Ecco, non credo che chi ha aderito l’abbia fatto sulla lettera del testo, senza nulla togliere alla proposta. Questa è semmai la dimostrazione dell’altissima sensibilità che c’è sul tema. E’ necessario intervenire, e presto, evitando le demagogie». 

Non si rischia un effetto escalation, per il quale a vittime armate corrispondono aggressori armati e disposti a sparare e così via, come accade in America?
«Non mi pare che in Italia un rischio del genere sia attuale, sono possibili soluzioni equilibrate. Bisogna comprendere la condizione dei cittadini in situazione di minorata difesa che lo Stato avrebbe dovuto proteggere e che, invece, sono stati lasciati soli». 

Ha in mente altri interventi su questo settore?
«Ci sono alcuni interventi importanti sulla riforma del processo penale ai quali abbiamo lavorato quando ero viceministro della Giustizia e che ora potrebbero essere definitivamente approvati. Penso, in particolare, all’aumento delle pene per furti e rapine e al divieto di bilanciamento tra aggravanti e attenuanti. Per reati di grande allarme sociale bisogna garantire la certezza della pena, perché i cittadini si sentano effettivamente protetti e perché le forze dell’ordine non si sentano beffate quando prendono il responsabile di un furto e questo viene immediatamente scarcerato». 
 
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