Fra Siria e Tripoli/ L’attacco Usa in Libia ultima mossa contro Putin

di Giulio Sapelli
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Venerdì 5 Agosto 2016, 00:05
L’intervento americano in Libia,cinque anni dopo la guerra civile che culminò con l’uccisione di Muammar Gheddafi,è il frutto di molteplici cause sia di politica interna sia di politica estera e tutte determinate dal peggioramento dei rapporti tra Usa e Russia.

Veniamo ai problemi di politica interna. Si tratta della competizione elettorale tra Donald Trump e Hillary Clinton. Il tono muscolare dei discorsi dello sfidante repubblicano si fonda su un amalgama di neo-isolazionismo e di rivendicazione della grandezza nord americana disposta anche a dimenticare il ruolo mondiale di esportatore di sicurezza che è stato il nocciolo duro della politica estera Usa a partire dalla seconda guerra mondiale. Pur di far mostra di difendere i soli interessi della nazione, Trump si fa beffe delle alleanze come la Nato e non nasconde le sue simpatie per Vladimir Putin. Quest’ultimo, del resto, è entrato di prepotenza nella contesa con i cyber-attack diretti a indebolire la Clinton con un nuovo capitolo delle guerre asimmetriche che la Russia conduce contro gli Usa tanto in Ucraina quanto in Medio Oriente.

Non è il caso qui di esaminare i motivi profondi di tale ostilità e di ciò che gli Usa hanno fatto per riaccenderla. Rimane il fatto che tutto ciò ha imposto a Barack Obama e al Partito democratico di mostrare i muscoli su un fronte in cui gli Usa hanno accumulato serie sconfitte culminate con l’attentato all’ambasciata di Bengasi l’11 settembre 2012.
 
Il culmine di quell’attentato fu l’assassinio del capo diplomatico di quella regione cruciale per la stabilità internazionale. La Clinton tentò di nascondere le falle nel sistema di sicurezza americano quando era Segretario di Stato e responsabile della politica estera, e ciò gli viene spesso rimproverato nell’agone della battaglia elettorale.
E qui veniamo alle ragioni più legate all’equilibrio di potenza mondiale in merito all’attuale intervento nord americano in Libia in questo strettissimo intreccio tra politica nazionale e internazionale. Queste ragioni di potenza hanno a che vedere con il ruolo della Russia in Medio Oriente, un ruolo che si fa sempre più determinato e incisivo avendo già raggiunto due importanti obbiettivi. Il primo è il salvataggio del presidente siriano Bashar al-Assad, che ormai è diventato un interlocutore fondamentale nella lotta contro l’Isis riacquistando potere e influenza sul piano regionale e garantendo così il mantenimento della base russa in Siria che, con quella di Sebastopoli in Crimea costituisce la garanzia di una presenza della Russia nel Mediterraneo.

Il secondo obbiettivo russo è creare un rapporto privilegiato con l’Egitto dopo il fallimento delle cosiddette Primavere Arabe promosse dai servizi americani sino ad appoggiare la salita alla presidenza egiziana del “Fratello musulmano” Mohamed Morsi, presto sostituito dal più rassicurante capo dell’oligarchia militare, il generale Al Sisi. Ebbene, anche in questo caso la Libia è in gioco. L’Egitto ha da sempre rivendicato a sé la Cirenaica, sia quando era una forte provincia dell’Impero Ottomano, sia quando era un protettorato inglese. L’Egitto considera come suo storico territorio quella parte della Libia che il colonialismo post Grande Guerra inserì invece nello Stato libico governato dalla monarchia senussita. Non è un caso che le forze del generale Khalifa Haftar (ex collaboratore d’alto rango di Gheddafi e per lunghi anni esiliato negli Stati Uniti pur essendosi formato negli anni Settanta all’accademia militare di Mosca) oggi combattono sì l’Isis, ma soprattutto si oppongono al solo governo internazionalmente riconosciuto, ossia quello tripolino di Fayez Sarraj. Quest’ultimo ha richiesto l’intervento Usa per arginare le forze Isis appoggiando le milizie a lui fedeli di Misurata. Esse sono impotenti dinanzi all’accanita resistenza che i fondamentalisti rendono manifesta nella Sirte. Non è un caso che tanto la Russia quanto Haftar abbiano all’unisono dichiarato illegale l’intervento Usa che, invece, è senza dubbio considerato legittimo dall’Onu.

Guerra per procura, quindi, quella di Haftar e intervento di rimessa quello degli Usa, per impedire il crescente rafforzamento della Russia in Medio Oriente. E certo anche un monito ai sauditi affinché cessino di sostenere l’Isis. Sembra che Obama voglia affermare ad alta voce che la potenza Usa non può a lungo esser sfidata. La pazienza del gigante pare finita. Non a caso ha reso operativi pochi giorni or sono i potentissimi nuovi caccia bombardieri F15 serie A che consentono di operare in condizioni di potenza a larghissimo raggio con l’agilità operativa dei caccia.
Insomma, il gigante nordamericano sembra ergersi di nuovo dalla cintola in sù dantescamente e questo non può che essere positivo. In primo luogo per noi italiani che siamo i più sfidati in questi anni dalla sorda, silenziosa, implacabile lotta con ogni mezzo che contro la nostra presenza in Medio Oriente e soprattutto in Libia, e in Egitto, conducono Francia e Regno Unito con il tacito appoggio di una Germania sempre meno assente dallo scenario internazionale. Ricordiamo in ogni momento che gli Stati Uniti sono il nostro indispensabile alleato e un nostro impegno tanto in Europa quanto in Nord Africa senza la stretta alleanza con essi è destinato a un sicuro insuccesso.

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