Caso Lo Porto, i punti oscuri, quelle risposte non date

di Paolo Graldi
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Venerdì 24 Aprile 2015, 00:12 - Ultimo aggiornamento: 00:13
Va bene, il presidente Barack Obama, nel suo asciutto ed anche sofferto annuncio della avvenuta uccisione di Giovanni Lo Porto (39) e Warren Weinstein (72) per effetto di un’azione antiterrorismo maneggiata dalla Cia, ha detto con eloquente chiarezza di «assumersi ogni responsabilità» per l’accaduto. E l’accaduto, è già evidente, apre un ventaglio di interrogativi le cui risposte, è stato promesso dal presidente Usa, si dispiegheranno, ove possibile, nel tempo a venire. Vi diremo quanto potremo dirvi, salvo gli aspetti che dovranno restare segreti: questa la sostanza del discorso.

L’operazione è stata condotta con droni, velivoli senza pilota, costruiti per azioni di chirurgia bellica: volano invisibili, sono silenziosi, difficili da individuare, sganciano ordigni ad altra precisione su bersagli anche molto circoscritti. Esattamente come è successo contro il compound che ospitava due gran capi di Al Qaeda, cittadini americani divenuti seguaci di Osama Bin Laden, al confine tra Pakistan e Afghanistan. Un colpo grosso per la Cia, visto dalla parte della Cia. Si sapeva dei ricercati da colpire, ma si ignorava la presenza degli ostaggi: le bombe, intelligenti ma cieche, non hanno fatto distinzioni.

È probabile che le indicazioni raccolte da informatori locali (quasi impossibile infiltrare spie di professione in un territorio a strettissimo controllo locale) fossero in deficit di dettagli e che sia stata “venduta” una notizia a forfait, un tanto al chilo. È tuttavia anche possibile, se non probabile, che la presenza di Lo Porto e Weinstein non sia stata volutamente segnalata, considerata piuttosto un intralcio trascurabile rispetto all’obiettivo principale. Può anche darsi che la banda di qaedisti d’alto rango, accanitamente ricercati da anni, tenesse i due cooperatori proprio in quel posto sperduto per farne degli scudi umani, un tetto per proteggersi, appunto, dagli assalti dal cielo.



Resta da capire meglio come colmare i vuoti temporali che avvolgono i fatti. Le bombe sono cadute a metà gennaio ma soltanto ieri si è saputo dell’uccisione dell’italiano e dell’americano. Lo stesso Obama, a quel che pare, non ne ha fatto alcun cenno durante la visita del premier italiano Renzi alla Casa Bianca nei giorni scorsi. Neppure Obama, tre giorni fa, sapeva? E la Cia quando esattamente ha capito come stavano le cose? Quanto tempo ci è voluto per osservare uno per uno i fotogrammi della missione americana e comprendere che si era, malauguratamente, sviluppato fuoco amico con due vittime oltre ad aver centrato l’obiettivo prefissato?



Certezze poche, comunque a scoppio ritardato visto che ne parliamo solo adesso, che si aprono ad altre domande. Per esempio questa: l’Italia, attraverso una telefonata Obama-Renzi, ha saputo della morte di Lo Porto, dopo tre lunghi anni di silenzio sulla sorte dello stimatissimo professionista della cooperazione, esperto con vasta esperienza internazionale in zone difficilissime, da Haiti al Pakistan, dov’era infine approdato dopo un terremoto seguito da un’alluvione. Il suo compagno di sventura era riuscito a lanciare un video verso casa e contro il governo americano: «Mi avete abbandonato». Lacrime dall’inferno del fanatismo dei mullah.



Sul piano più strettamente diplomatico appare comunque singolare che Obama abbia voluto dare l’annuncio al mondo della tragedia di punto in bianco lasciando alle autorità italiane (governo) di apprenderne i pochi dettagli solo poche ore prima dell’accaduto, consentendo al premier di esprimere la propria costernazione e all’unità di crisi della Farnesina di avvertire la famiglia di Giovanni Lo Porto. Non è una questione di galateo internazionale: la rivendicata, radicata e profonda amicizia tra i due Paesi aveva forse bisogno anche di apparire tale nella dolorosa circostanza.

Si è lasciato intendere che la lotta al terrorismo, complessa e irta di molteplici rischi, comprende purtroppo margini di errore (basti il ricordo del caso di Nicola Calipari in Iraq, il valoroso agente segreto freddato da un militare Usa mentre portava in salvo un ostaggio), errori capaci di produrre feriti e lutti anche sugli stessi fronti alleati: si mette nel conto, con crudo realismo, un prezzo (sempre possibile) da pagare. Ma, quale prezzo? A quale prezzo? E a fronte di quali esigenze indefettibili? È viva la memoria dell’altro caso della cittadina americana, ostaggio dell’Isis, della quale è stata ammessa la morte via drone dopo reticenze e malcelati imbarazzi. Insomma, c’è l’esigenza di fugare i dubbi di chi nel Parlamento italiano paventa un ”trattamento da sudditi”.



Per associazione di idee, mentre si mette in campo con determinazione l’uso di droni per contrastare i mercanti di carne umana colpendone i barconi, s’affaccia con evidenza la delicatezza di questa chirurgia che potrebbe rivelarsi assai più invasiva e dannosa rispetto agli affreschi che la rappresentano come una via facile ma ancora tutta da pensare per bene, ripensare e poi applicare. Scongiurando colpi di coda dall’esito tutt’affatto indesiderato.