Iran-Israele, Meloni: no all’escalation. Sponda con la Giordania

Iran-Israele, Meloni: no all’escalation. Sponda con la Giordania
di Francesco Bechis
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Martedì 16 Aprile 2024, 07:00

La quiete è solo apparente. Un contrattacco israeliano all’Iran è a questo punto «probabile». Montecitorio, tardo pomeriggio. Di fronte alle Commissioni Esteri e Difesa della Camera Guido Crosetto dà forma a un timore diffuso ai piani alti del governo. «Israele potrebbe colpire direttamente l'Iran, per riaffermare la propria credibilità e deterrenza».

A questo punto, sospira il ministro della Difesa, resta da chiarire «quando e dove» Benjamin Netanyahu reclamerà la sua vendetta contro l’Ayatollah e lo sciame di missili e droni che ha acceso i cieli del Medio Oriente sabato notte. «Occorre evitare reazioni che portino a un punto di non ritorno». Come uno strike contro i siti del programma nucleare iraniano, scenario che fa sussultare in queste ore il governo italiano e il G7 di cui ha la presidenza.

LA LINEA

All’indomani della telefonata con Joe Biden e gli altri leader occidentali Giorgia Meloni torna sul punto. Invoca “lucidità”, invita a «fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per evitare possibili escalation». Parla da un palcoscenico inconsueto, la premier. Si fa strada fra la folla del Vinitaly, la grande fiera del vino a Verona, fra uno stand di prosecco e uno di Valpolicella.

La insegue qui, nella tappa che non si è sentita di rinviare - settore strategico, l’agrifood, anche in chiave elettorale, a due mesi dalle Europee - l’attualità politica di casa, che metterebbe volentieri in stand-by, almeno un giorno. Come quei manifesti con il suo volto che hanno di colpo tappezzato Milano nel week end, accanto il simbolo di Fratelli d’Italia e una scritta cubitale: “Con Giorgia”. Dunque la candidatura in Ue è ufficiale? «Sono la leader del partito, con quali altri volti dovrebbero farli?», si smarca lei.

L’agenda internazionale però si impone. In giornata Meloni riprende in mano la cornetta. Una telefonata con re Abdallah di Giordania, partner chiave per parlare con tutte le sponde, da Washington a Teheran passando per Tel Aviv. Di nuovo l’appello, congiunto, per la “de-escalation”. Poi un altro sulla guerra a Gaza, con una doppia richiesta che ormai compatta i leader occidentali: «Un cessate il fuoco immediato e sostenibile e il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas».

Ma le telefonate sono solo all’inizio: prima del viaggio in Tunisia, domani, Meloni cercherà un contatto con Netanyahu.

La stampa israeliana racconta che “Bibi” abbia buttato giù diverse chiamate di leader occidentali nelle ore dell’attacco iraniano, infastidito. «Con Giorgia nessun incidente, siamo tra i pochi che ascoltano», ci tengono a chiarire da Palazzo Chigi. Sarà.

Si preparano intanto i viaggi della presidente del Consiglio. Un nuovo tour mediorientale, si guarda già a due tappe: Amman, Giordania e Doha, Qatar. L’allerta resta altissima. Alla Farnesina, questa mattina, Antonio Tajani riceverà una delegazione di ambasciatori di Paesi arabi. Canali da oliare e tenere aperti, per rendere l’Italia credibile agli occhi di un mondo che con Israele, dopo sei mesi di guerra a Gaza, non parla più o parla pochissimo.

A Roma, spiega di nuovo Crosetto, c’è preoccupazione per il contingente militare della missione Unifil in Libano, sotto tiro dei razzi di Hezbollah come dei missili iraniani. Nei giorni scorsi il ministro ha inviato una lettera al numero due dell’Onu, La Croix, per chiedere come aumentare la protezione dei soldati. E gli occhi sono puntati anche sui militari in servizio nelle missioni navali del Mar Rosso, come Aspides, l’operazione anti-Houthi di cui l’Italia ha il comando tattico.

I RISCHI

In questo quadrante «permane il rischio del coinvolgimento, anche non intenzionale, negli scontri a fuoco» e la possibilità di «danni collaterali». Un linguaggio studiato che tradisce i timori dell’esecutivo. «I francesi hanno alzato in aria i Rafale per difendere le loro basi - spiega una fonte diplomatica - ma se l’Iran colpisce i nostri in Libano, come li difendiamo?».

Prima del fischio dei missili, deve ritrovare voce la diplomazia,dicono in coro i ministri. «Se Israele ci sente vicini, potrebbe ritenere meno necessario agire in modo plateale». Ipotesi ritenuta possibile, anzi «probabile». E infatti Tajani lancia un nuovo monito all’alleato: «Auspichiamo che Israele faccia prevalere il buonsenso». Che scongiuri «una spirale di violenza dannosa per tutti».

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